giovedì 27 febbraio 2014

Una A per amica - Piccoli geni crescono

(Può darsi che non sappia cosa dice / scegliendo quella Casta di Euridice).

 

A volte basta una “A” a cambiare la vitE. Lo hanno capito in tanti, fra cui il meglio dei cineasti italiani dopo l’annoso dibattito “Ma dimmi una cosa: il cine italiano, l’è in crisi?”
Non avendo ricevuto risposta, sto dibattito si è arrangiato da sé, forte del motto “In un mondo che non ci vuole più”.


Guido da Verona▲ (“sarà stanco”, gli dissero villanamente – e con battuta di spirito scontata – a Cinecittà, una volta giuntovi con il suo bagaglio di Automatic CS Paper Generator▲) ha dato un deciso giro di vitE a questa situazione, appellandosi, oltre che alle sue doti di genio incomprensibile, ai retaggi (“sorretto da un anelito d’amore”) del Maestro di Molteno, a cui la gente è generalmente indifferente.


Così è nata la pellicola Una donna per amica mica, che – denuncia social degli scopiazzamenti risultati in Una donna per amico, Una mamma per amica (Gilmore Girls▲ ), Un amico per mamma, Una nonna per amica della mamma, Un uomo per nemico della nonna delle Gilmore Girls, Un nonno che ammicca alle amiche (della nuora), Don Ameche▲ ha un amico (delle nonne delle donne per amiche), L’amico delle donne che hanno un’amica per amico delle donne che hanno per nemico l’amico di un nemico che, Che fai? Ammicchi coi nemicchi? In questo mondo di amici di lardi, L’amico del sole, e tanti altri, che c’è da riempire un palinsesto da capogiro – sta facendo furori al botteghino sotto casa (gestito da un amico dell’amica di Guido).

Alla domanda della stampa – forcaiola e garantista – “Qual è il segreto del suo successo?”, Guido da Verona (benché stanco per la guida) ha risposto (con pertinentissima citazione del Tino Scotti▲ celebrante i benefici della salutare pillolina): “Basta la lettera!”
La lettera, ovviamente, è la “A”.
Alla successiva – nostra domanda – “Quella di Hawthorne?”, ha voltato i tacchi.

L’ufficio stampa di Guido – tutte ragazze educate e cordiali, che dicevano “focus” senza soluzione di continuità – ci ha gentilmente fornito il programma del cineasta (di Verona) per i prossimi 6 mesi. Ecchelo qui:


Già in lavorazione (almeno in fase di sceneggiatura):

La canzone dellA solA

I giardini di MarziA (con Marzia e Linda)

Bella Linda (con Linda, Marco e Mastralinda)

Comunque bAlla (da La soldatina di piombo, di H.C. Andersen)

Àncora tu (ispirato a The Rime of the Ancient Mariner)

La collAna dei ciliegi (Cechov? Le ragazze del focus non si sono sbottonate)

Pensieri e prole (remake di La famiglia Bradford)

VAnto nel vAnto (ispirato a Thackeray)

Gente per bene e gente per mEle (film denuncia sul caporalismo)

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Ci sta pensando:

My Free Corner (working title).

martedì 25 febbraio 2014

L’uomo che non è che non c’era (ma si vedeva solo a metà)

1° disperato, necrotico stump

 

Primo stump dell’uomo che non è che non c’era
(Illustrazione di Stefano Baratti)
Manco a farlo apposta, quest’uomo che non è che non c’era (lui, poveretto, era lì, con tutti i crismi del caso a fare la sua vana parte nel mondo, solo che c’era solo a metà, un giorno la parte sopra e un giorno quella sotto – e capiremo meglio, se ci spiegheremo bene, naturalmente: diciamo che era stato fatto da Dio a sua [di Dio] immagine e somiglianza) faceva di mestiere il barbiere.
Benché avesse una scarsa capacità di giudizio, si riteneva abbastanza soddisfatto della sua vita. Se avesse avuto una buona capacità di giudizio, si sarebbe ritenuto soddisfatto.


Ma introduciamo per benino questa storia, diamole uno scheletro, una parvenza di trama, uno sputo di caratterizzazione, un qualcosina che come la leggi ti fa un effetto speciale. Ecco, si potrebbe cominciare così: per fare come certi scrittori matti che, tuttavia, vagano indisturbati e vaghi nel vano, vago mondo (anche loro facendo la loro brava, sporca e vana, vaga parte), sentite questa trovata: quest’uomo viveva a NEW YORK – così, detto vagamente, come se New York fosse il paesello dove De Sica fa il maresciallo, uno di quei paeselli sindaco, prete, farmacista (e maresciallo – anche se non sempre De Sica). Si sente già l’effetto? Avvertite sfarfallii nello stomaco? Sì? Buon segno. Ma spingiamoci oltre.
Non solo, dunque, cost’guy viveva a New York, ma aveva un nome, che per inventarcelo siamo diventati mezzi matti (anche se non del tutto: disgraziatamente siamo scrittori dilettanti – lo si capisce anche dal fatto che parliamo al plurale, il che deporrebbe a favore di una nostra certa svitatezza, ma in questa vita non sempre grata contano la fortuna e le mani-manico): si chiamava Leonard “Bob” Zagrebmann. Proveniva da una ricchissima famiglia di New York (che abitava in via Street Kennedy n° 3, la seconda sulla sinistra venendo da via Street Jhon Wayne, con “Jhon” scritto così non perché abbiamo sbagliato, ma perché ci siamo ispirati a uno scrittore che girava in pieno luglio con la sciarpa intorno al collo – che pareva sfuggito a un’impiccagione – con giacchetta da figicì dantan e che aveva inventato un personaggio di nome Jhon – ecco, così non ci accuserete di superficialità e approssimazione), che aveva fatto fortuna grazie a una vincita al totocalcio negli anni ’60 del XX secolo (cioè, nel Novecento, con la “n” maiuscola, quello che i realizzatori di note di quarta di libri di storia con la esse MAIUSCOLETTA non si stancheranno mai di sottolineare trattarsi del “secolo breve”). Non importa se a New York non esiste il totocalcio?
Vogliamo proprio vedere: un brutto giorno, infatti, arriva un funzionario del totocalcio di New York e fa: “Siete voi che avete vinto il totocalcio nel secolo breve?”
“Sì”, risponde accogliendolo sulla porta Robert “Leo” Zagrebmann – il padre di Leonard – con uno spregio del labbro come a dire meddatté.
“Bene”, replica il funzionario. “E in che anno, per l’esattezza e di grazia?”
“Ma… nell’anno di grazia e di esattezza 1972, credo…”
“Credete? Con esattezza? ’Scoltate qui, amico del sole: mi sa tanto che ho brutte notizie per voi” – non si capisce se dava del voi al capostipite appoggiato allo stipite o si riferiva alla ricchissima famiglia in generale. “Il secolo breve Novecento è finito nel 1971 (sennò era un secolo normale, di 100 anni, senza rotti in difetto o in eccesso), quindi non avete vinto un bel niente”.
Il vecchio, non essendo un piantagrane malgrado quello spregio del labbro (in realtà era uno spregio fisso, scolpito lì dalla nascita – o forse dalla Tyche), capì la situazione, ringraziò l’ospite, lo congedò e si trasferì nel suo studio (tutto foderato di libri in cuoio, con quel buon odore di cuoio e di carta, che è questo il bello dei libri veri a rimpetto degli ebooks: che senti odore, mentre con gli ebooks, oltre a cecarti, non senti odori; e si sa che quando uno legge – specie ai servizi – vuole sentire odori. Se poi soffri di stipsi, lo svantaggio degli ebooks viene duplicato. Se, invece, soffri del disturbo opposto, che pesci pigli quando ti accorgi della negligenza della serva trovandoti fra le mani un ebook? Manco uno. Come vedi, il book ha vantaggi notevoli rispetto all’ebook. Vai sempre al licet con un book è il nostro consiglio. Lascia perdere il giornale: che, mo’ li fanno in carta di riso? Il book sì, anche se costa), dove, sedutosi allo scrittoio, estrasse dal tiroir un pistolone e ti saluto, amico del sole!
Lo trovarono con un buchino da niente in fronte (senza cornice di splatterume), manco si fosse tirato una miccetta, e una lettera di fronte a sé. Dentro, un foglio d’un simbolico che Verlaine ne sarebbe crepato d’invidia: bianco.

Con la famiglia rovinata, Leonard “Bob” – che si era visto predestinare tutto un brillar e sfavillar di carriera da avvocato presso la firma di grido Schinbierna&Schinbierna di New York – vide sconvolta (favorevolmente, ché per fare l’avvocato aveva una mezza idea – aveva sempre mezze idee, come forse (ci, ma anche vi) spiegheremo più avanti – di non averci il taglio) la sua vita. Prima, infatti, non aveva idea di che cosa avrebbe fatto di sé, ora ce ne aveva una mezza. Pensò: “Adesso faccio una ricerca su Ghiugl… anzi, mi voglio rovinare: Ghiugl plas (adbondantis adbondantum… anzi, mi voglio strarovinare: adbondantis adbondantum adbontantibus)”.
A quei tempi, però, Ghiugl plas non esisteva, ma esisteva Eevil plas (inventato dal mio amico Marsiano), il motore di ricerca e di ri-cerchia sociale che c’aveva un tigre dentro.
Pertanto, andò al suo computer (che al tempo non esisteva, o meglio, esisteva a metà: metà tastiera e metà monitor), digitò come Frenzy Frantic con 12 dita per circa 3 minuti, fino a ottenere una prolissa query “Dve ss trvare…” ma non possiamo dirvi di più, sempre per la questione della tastiera e dello schermo dimezzati (deduciamo che “ss” stia per “posso” – “p” e “o” situantisi nella metà mancante – all’epoca – della tastiera, la destra).
Fortuna che Eevil plas non scherzava. Grazie a un algoritmo misterioso (sebbene in fase beta) aveva capito che Leonard cercava un lavoro. E grazie a un secondo (in fase gamma) glielo aveva pure trovato.
Due ore dopo, Leonard “Bob” stava nella Settima (fra la Prima e la Terza [?]) in procinto di entrare nella bottega (in cuor suo sperando e non sperando di entrare a bottega) di un barbiere di New York, tale Tomhas Dilyan Taneddu, detto stranamente “Cochise” pur essendo della tribù dei Nez Percez? Percez Noz.
Taneddu Cochise, benché totalmente cieco, era il barbiere più in vista di New York, verosimilmente il migliore: basti pensare che tutti i mobster della città, quando erano stanchi di vivere, andavano chez lui. Sapevano che, immancabilmente, i membri dei mobs avversari li avrebbero trovati belli imbacuccati sulla poltrona girevole che Cochise avrebbe prontamente volto in favore dei malintenzionati affinché i malintenzionati venissero smitragliati a dovere. Non prima che Cochise avesse fatto loro barba e capelli (+ facial al vapore al calore galore).
Aperta la porta della bottega, Leonard fu investito dal sicario di turno in fuga, il quale, masticando fra le fauci un “faucof”, si scusò con l’ingrediente (nel senso di entrante), lo aiutò ad alzarsi, gli chiese se stesse bene, gli offrì una caramella, che Leonard non accettò dallo sconosciuto, al che il gangsta si offrì di offrirgli un drink al noto locale Blue Gardenia dietro l’angolo (il Blue Gardenia, a New York, è dietro ogni angolo), ma Leonard disse “non bevo mai prima delle 11 am”, e il mitragliere volendo controllare che ora fosse (che a lui non la si raccontava! – l’ora) prese a cercarsi addosso la cipolla, ma non la trovava, al che esclamò “fakiu” – poi scusandosi per il linguaggio – ma intanto “il sole mangiava i minuti” (secondo il celebre modo di dire in uso a New York, ma non è vero: lo dicono a Trieste, ma metti che uno scrittore con la sciarpa che scrive sta roba con 14 dita sia di Trieste e ignori certe sottigliezze filologiche – come finora ha ampiamente dimostrato – cosa volete che gliene freghi…) e mangia un minuto e mangiane un altro, va a finire che passano di lì 3 tipi nel NYPD, osservano la scena, si insospettiscono, si avvicinano, chiedono: “Tutto bene?” e Leonard muto e quell’altro pure, con il Thompson fumante in mano, e loro, ripetendo “Tutto bene?” senza ottenere risposta, si insospettiscono ancor di più, ma non avendo prove di avere motivi di insospettirsi sospettano di star prendendo un granchio a causa dei troppi tv-movie di NYPD visti, ecco che i 3 della pattuglia, dopo un’occhiata pedagogica agli insospettabili, fanno per allontanarsi, ma vengono – per precauzione – falcidiati dal mitra del mobster, che finalmente trova la cipolla, la consulta e osservando che sono le 10.57 non insiste. Stringe la mano a Leonard “Bob” e se ne va (i suoi passi saranno pochi, falciato immaturamente dai colpi di un contromobsta all’angolo del celebre locale Stork – che a New York si trova sempre di fronte al Blue Gardenia, da cui gli scazzi fra i due locali, spesso concludentisi in stragi di tutti i santi del calendario).

Lievemente stordito, finalmente Leonard fece il suo ingresso nella bottega. Non ebbe il tempo di dire “buongiorno” (tanto, dato che parlava a mezza voce, nessuno lo avrebbe sentito), che Cochise gli intimò: “Passa lo straccio su sta medda” (riferendosi al lago di sangue che tanto stonava col candore del locale, benché, data l’abbondanza di piastrelle, ricordasse una macelleria vecchio stile), non prima di averlo apostrofato: “Non si usa più dire buongiorno?”
Dice un lettore di quelli svegli tipo un libro da non perdere: “Ma Taneddu Cochise, non era cieco? Come ha potuto scorgere il nuovo arrivato, per altro così silenzioso?”
Gli rispondiamo: “Statti zitto e leggi, tanto sei abituato a schifezze peggiori…”
E lasciateci lavorare, altrimenti cade l’Italia e si muore.
Dunque.
Cochise usava frasi concise.
Brevi.
Andava sempre a capo.
Per guadagnare Tempo.
Mentre gli scrittori.
Con.
Le.
Sciarpe.
Lo fanno.
Per.
Guadagnare.
Righe.
Così il libro.
Viene più.
Grosso.
E possono.
Far pagare.
Una cacatina.
Di.
120.
Pagine.
(Che).
In.
Realtà.
Sarebbero.
7.
Dicevamo.
Lo fanno.
Pagare.
(A te).
(Che lo).
(Compri).
30.
Euri.
Poi.
Quando.
Hanno fatto.
La.
Grana.
E hanno.
Vinto.
I.
Premi.
Della.
Grappa.
E.
Di.
Altri.
Liquo-
ri,
diventano più buoni e generosi e riescono a scrivere numerose righe senza andare a capo, righe, per altro, piene di quella roba che il Bardo diceva essere fatta della stessa materia di cui è fatto il nulla.

Fine della prima parte. (Come Dickens).


Una volta, Dickens, dopo aver scritto e pubblicato sul the “Monarchy” (con il the minuscolo e fuori virgolette, che era una figata ideata da lui stesso) la prima puntata de Il piccolo Chirquick, essendo in crisi di astinenza da figate, si fermò ad un’edicola in Earl’s Court, intenzionato a farne una coi fiocchi (e controfiocchi, se si considera che si portò dietro il laptop). Diversamente dall’opinione diffusa, Dickens era una vera carogna (altroché paladino dei diseredati, dei poveri, dei reietti…), perciò si rivolse all’edicolante (un vecchietto sull’ottantina con trombone all’orecchio) chiedendogli spietatamente: “Buon uomo… Vorrei il numero del the ‘Monarchy’ – e staccò nettamente il ‘the’ da ‘Monarchy’ con tono strafottente – con la seconda puntata del racconto di quel… come si chiama… Dixen… Diskens… non mi sovviene…” L’ottuagenario non fece una piega – se non quella per raccogliere la copia del prestigioso quotidiano contenente la seconda puntata del Chirquick e gliela porse, in attesa del soldo.
Il Dickens, verde e rosso in volto, bofonchiò: “Mpf… fppmpff… Io… Io… Io vi farò licenziare, sarebbe l’ultima cosa che facessi!…”
Il vecchietto, correttigli congiuntivo e condizionale, mormorò qualcosa fra le gengive, un indistinto ma secco suono, tutto un “f” “f”, e rimise al suo posto la gloriosa carta.


domenica 23 febbraio 2014

Che cosa vide l’Uomo del piccolo romanzo fiume Ottanta

G. Manganelli, Centuria
... nella forma di un gran controattribuito, [vide] uno di quei pensatori... come dire... un filosofo d’istinto!, eccoli lì, che incocci ’a’ voglia nella vita; che anzi la vita restituirebbe se stessa al big bang pur di non annoverarli fra le sue creature... Uno di quei delinquentelli non perseguibili, ma rognosi, calunniosi – in primis di se medesimi –, callosi del loro rabbioso vizio di far frullare la lingua, i quali ramingano tuonando cannonate di paraponzeria per le strade del mondo, indugiando di tempo in tempo in cerca di prede, specialmente nei granitici scenari delle stazioni ferroviarie – le loro naturali, neutrali stoà – dove si accomodano, i primati, qua e là, su panchine, su scalinate, o appoggiandosi ai muri, nell’aspettativa del trascorrere del tempo... ed ecco che, senza previa dichiarazione di battaglia, arrivano, si posizionano, paiono studiare uno schieramento, in singola pazzoide fila profondità uno, ossia se stessi solitari, con quell’aria imbriaca e anchenò, ma vicina ad esserlo, esemplari – ma non è razzismo, questo, semmai revisionismo lombrosiano – microfrenici, loro e le loro caratteristiche, per e con la quale dotazione fisiognomica ti si pianta davanti uno d’essi e ti astrologa e piposofa dei suoi non ancora smaltiti scazzi quotidiani, colpevole la moglie solitamente salopetta definita che non ci dà bada a lui, se non per spronarlo, sto zombio de fame, già di mattina a buon’ora, dopo una notte di improperi e sgraffi, ad andarsene a girare il pollice da qualche parte, a guadagnarsi, insomma, i pretesi diritti (con tutto il degrado che essi comportano) che lui avanzerebbe, di paterfamilias, primo fra tutti – come egli dichiara, con la più alta convinzione delle terre emerse, finanche dell’Everest – che lei, questo cacabuccio di donnetta, lo gratificasse una volta, una sola volta, dico, della cosiddetta; fatto sta che tu, presempio, mentre che te ne sei al bar ferroviario, vai a infrangerti contro questa autocertificata vittima, pecoreggiante, delle magagne matrimoniali le più disperate: tu, proprio tu, ma guarda tu! Con quel fiato che ti odora di fango muffo: e andiamo, fai la coppetta con la manina pelle liscia-liscia: annusa! Che ne dici, uh? senso, ne? Va’, corri in cesso di stazione, datti risciacquata in bocca senza il tramite, fra i labbri e il rubinetto, della mano-acquedotto; fra tanto, l’occhio si appaga dello spettacolo, osservabile appena obliquamente sopra a dx, su muro tazebao, di accorati appelli d’amor che alcun perdona, d’altamiresca arte murale: neopuntinismo manure, opera acrobatica d’un uomo-mosca; neofauvismo ordure, opera digitale e insieme gesto sacrificale estremo di sensibile-alla-carta; e dàgli, tu, svelto!, di stomaco, ché almeno una valida giustificazione tu l’avrai, ben-bon, per l’alito che sgradevolmente s’effonde.

Ma adesso: si fa café olé e crossante croiccant?

Come ti risollevi dallo sforzo, lui ti è dietro, con l’epa croia che rimostra dalla scamiciatura, con la protestante braca sbrecciata poco sopra il cavallo che tuttavia testimonia l’uso della mutanda, suffragato dall’alone paglierino facilmente intravisto. E chissà da quanto, a quell’ora, già verbalizzava incontenibile, incontentabile, esso, nella generale noncagance del nomade popolo di toeletta, accosto accosto quasi tu gli avessi dato l’appuntamento sull’onda dell’ebrezza del Primo Amor (che la mattina seguente al suo fiorire, pur recandoti al risveglio farfalle, colombe e campane, t’opprime alla nuca e ti rompe il cuor), e altro non stesse ad aspettare che la prima limonata, quella che di regola ti lascia la bocca altrui in bocca, quella, sarebbe a dire, che te ne vorresti ancora, d’un lato, ma da quell’altro tu ti sembri un cannibale, cioè credi d’avergliela mangiata la lingua al/alla partner (merita fare una riflessione: presente? che ci stavano, negli anni sessanta/settanta, quei pinguini o ghiaccioli o calippi comunque gelati allo stecco, di forma, dico, sexy, e l’anima analoga ad un midollume gelatinoso, prodotto pianificato e confezionato a bella posta, da istituire nell’iniziando – prime campagne reclamistiche erotocentriche – la scabrosa convinzione d’una sorta di autosufficienza garantita dalla forte quanto sottile suggestione del bacio alla franzosa; essendo già in discorso, si potrebbe, del pari, riferirsi agli occhiali a raggi X, pensati per violare ogni limite di privatezza e dunque vedere il nudo sotto il vestiario – delle donne, specialmente; e continuando non si completerebbe mai, forse, l’elenco dei mille schemi riservatici dai pragmatici surrogatori di altrimenti impossibili educazioni sentimentali).

Quasi tu gli avessi dato un appuntamento. Con la sua bocca di fuoco odor di stock, spalancata sul muso tuo rubrico per i conati, eccolo lì il signore sì che se ne intende, pronto per l’espugnata: “Che ne pensa lei? Non ho forse ragione io? Che farebbe lei al posto mio? Non mi stia a dire che lei, a la femmina, almeno una volta al mese, nei rapporti e tutto quanto, lei non… Non me lo stia a dire neanche per scherzo! Ma mi dica: lei, a casa, ce l’ha una donna, la sua donna che l’aspetta, intanto che la cenetta va a freddarsi, con il grembiale magari come dire allacciato con un bel fiocco sopra due fior di chiappette come dire belle pienotte, che l’aspetta sulla soglia o giù al portone come chi magari attende l’operaio che torna tutto nero dal cantiere, questa pocahonta tutta unta e i capelli come dire come spinaci, qualche briciola di pane appiccicata qua e là, e che mazzo – si capisce – si deve essere fatta tutto il giorno, ma finalmente in pausa, magari appoggiata al manico della scopa, come una Tina Modotti appoggiata magari al piccone del comandante Carlos – oppure, sfinita, distesa sul canapé, con un occhio al tv e un’orecchia alla lavatrice che come dire gorgoglia di là… Una donna così, lei ce l’ha? Questa donna che si spende in duplice sacrificio: una donna di queste, angelo del vostro focolare, tipo, frutto dal vostro sudore coniugale, ma che alla bisogna sa come dire diventare una di quelle magari… Scommetto che lei ce l’ha?”
Si limitò a mormorare: “No, non ce l’ho”.

E l’omino girmi, accettando cavallerescamente la perdita della scommessa, voltò i tacchi, puntando sulla tabaccheria, forse per andarsi a ricaricare le batterie delle provate eliche.

© 2014 - Mauro Pascolat - Yaşasın▲


CORRELATI: Che cosa non seppe il Cavallo del piccolo romanzo fiume Novantuno

sabato 22 febbraio 2014

L’uomo che tossiva dal 1946

E come se la ride, mo’!
È notizia di oggi – di pochi minuti fa, anzi – che Alarico von Falkusfava, l’uomo che cominciò a tossire il 3 giugno 1946, all’indomani del Referendum che vide la non vittoria della Monarchia a detrimento della non sconfitta della non Monarchia, ha improvvisamente smesso di tossire.
(Chapeau!)
 

In questi quasi 68 anni, il suo curioso disturbo (l’origine del quale non è stata mai accertata) ha causato l’esaurimento nervoso di circa 2.553 persone che hanno avuto a che fare con lui. Fra costoro si sono altresì registrati numerosi decessi, secondo alcuni medici, che seguivano – da debita distanza – l’intossicato, direttamente o indirettamente connessi alla degenerazione degli stress neurosi in disorientamento culturale.
In questi lunghi e martoriati decenni, più volte avvicinato dalla stampa – sia garantista che forcaiola – per essere sottoposto a un’intervista, Alarico mai fu in grado di soddisfare le cortesi richieste a causa del flagello che gli impediva di parlare.
 

La tosse è stata per il von Falkusfava motivo di innumerevoli disagi, tra cui quello di non potere apprendere – sino ad oggi – gli esiti del Referendo, sia per connaturata mancanza di interesse nell’evento, sia per il frastuono della tosse (che lo rendeva sostanzialmente non udente), nonché per i violenti fremiti che questa gli provocava, incapacitandolo (verbo ampiamente improprio) a leggere un giornale o a guardare la tv.
Ha inoltre, in un primo momento, perso i denti, e, in un secondo, la dentiera (applicatagli con notevoli sforzi da un dentista-guaritore filippino, deceduto dopo l’intervento), senza mai – a differenza del fortunato Bruce Dern – ritrovarla, pur avendola cercata presso un binario triste e solitario.

Siamo ansiosi di incontrarlo per sapere almeno due cose fondamentali:
1) come sia riuscito a sopravvivere per tutti questi anni senza nutrirsi;
2) cosa pensi di Massimo Cacciari.

Possiamo anticipare che alla miracolosa guarigione è subentrato un riso quasi (per fortuna quasi, wow!…) ininterrotto, iniziato subito dopo che il vegliardo ha appreso i risultati del Reverendo di cui sopra.
Confidiamo di fargli altre domande circa la sua inusuale esperienza, sulla quale ci (più che vi… e a chi gliene cale una mazzeruola…) terremo informati e che – se Iddio vorrà – potrebbe risultare in un libro che non ci dispiacerebbe intitolare L’uomo che tossiva dal 1946, senzameno destinato al dimenticatoio.

(O forse è meglio L’Uomo che tossì per quasi 68 anni? eh? che ne dite? Cominciate a spammare il blog, anziché prendervela sempre con questo povero diavolo, forza!).


Illustrazione di Stefano Baratti.

giovedì 20 febbraio 2014

Il Paese che diceva "Chapeau!" a tutti

Non ha vinto la Monarchia, questo è una dato di fatto, ma la non Monarchia non è stata sconfitta. Ha vinto il Paese con "p" Maiuscola.


Tutti ormai dicono "Chapeau!" a tutti. Anche noi del blog with dirty little lips ci uniamo all'atmosfera di gioia. Non abbiamo parole. Una sola cosa ci dispiace: che Uma Thurman non abbia voluto condividere questo trionfo dello "Chapeau!".
Fine dell'editoriale.

I RISULTATI

Non Monarchia: 178 Chapeau(s)▲

Non Monarchia pure lei: 62 Chapeau(s) ▲

Uma Thurman in realtà non aveva nulla di cui congratularsi. Fingendo distrazione (è stato il presidente Truman a congratularsi), abbiamo tentato il colpaccio a casaccio, tant'è vero che, nella foga, abbiamo dimenticato l'H (accadenti!...). (Ma Truman, non l'è morto?).





CORRELATI:

L’uomo che diceva “chapeau!” a tutti