sabato 29 marzo 2014

Il signor Udo

Scaricare pistole in aria, regalare parole ai sordi

Il signor Udo in uno spiraglio fra Essere e Nulla

Il signor Udo (Tommy) non era un galantuomo. Niente al mondo lo ispirava. Almeno era quello che lui credeva. Il filosofo lombrosiano Franz Joseph Rooster lo volle studiare per filo e per segno, nella convinzione-speranza di poter stabilire i canoni definitivi del male assoluto (contesogli solo dall’uomo di San Cristóbal). L’approccio sentimentale misto adottato dal futuro Gallo si uniformò, in una prima fase, in illusione (sempre di determinare lo Standard) e già nella seconda, di fase, finì per incenerirsi in brama di dissoluzione.
Perché il signor Udo – non essendo un galantuomo, bensì ispirato dal nulla –, dopo aver sopportato giobbescamente i tentativi di intrusione nella propria psiche nera da parte dell’ombroso, si sentì – contro la sua stessa volontà – finalmente ispirato. Nel corso di una delle tante sedute filosofiche nell’ambulatorio medico generico della Casa di Detenzione (intitolata al Santo tarantino) più famosa di San Franchisco (come pronunziavano gli antichi doppiatori: tu leggi “ch” come fosse la “c” di c’era una volta, e vedrai che andremo d’accordo), lo annientò con la sua unica arma: una breve frase in falsetto da infante corretta risolino d’un nervoso straordinariamente accentuato.
Il filosofo ne fu annientato, diventandogli prima succubo e successivamente dandosi alla mala vita, non prima di aver assunto lo pseudonimo di Joey “Crazy” Gallo.
L'ombroso filosofo lombrosiano Franz Joseph Rooster
al suo primo mugshot prima di diventare
Joey “Crazy” Gallo, king of the streets, child of clay
Attese come un profeta che il signor Udo scontasse la sua pena. Quando questi sortì di bottega su parole, lo andò ad aspettare davanti al grande portone della Casa di Espiazione.
Il signor Udo (che non era un galantuomo), nel vederselo davanti, abbozzò il suo sorrisino infame.
Joey non osò abbracciarlo a dargli il bentornato all’arbitrata libertà. Era tutto ginocchia frolle. Estrasse invece due pistole e, cautamente, come se avesse di fronte a sé la Bestia, le posò a terra – segno di omaggio, devozione, proposta di complicità.
Il signor Udo – un two-time loser – non era tuttavia affetto da idiozia. Diversamente, parrebbe, dal leccapiattini spuntato in quell’alba post-carceraria. Raccolse con soddisfazione le rivoltelle dono propiziatorio. Poi disse a Crazy Joey: “Si va a fà una girata sul Golden Gate?, eh? Io e te soli soletti?”
Era proposta da rifiutare?
No. Perché il signor Udo non era il tipo da “accettare un no per risposta” (come traducono i traduttori di film, senza un battito di ciglia degli adattatori dei dialoghi).
Sicché si diressero, a braccetto, verso il ponte, nell’alba incendiata.
Crazy Joey a momenti confidava in un invito a colazione in un joint altamente raccomandabile in prossimità del Cancello Dorato. Ma il signor Udo non arrestò il passo, se non quando furono esattamente al centro della struttura sospesa.
Lasciò andare le labbra in un’apertura di credito. Invitò l’illuso compagno ad accostarsi il più possibile al parapetto e quindi gli ingiunse: “Buttati”.
Non era una proposta, questa, ma un ordine, che certo Joey non poteva rifiutarsi di eseguire.
Ecco che pochi secondi dopo, egli trovò la risposta al vecchio interrogativo sull’Essere e il Nulla che lo arrovellava da sempre.
Il signor Udo spense l’incendio divampante nell’aurora sanfranchiscana con un cachinno di cui egli stesso non credeva di essere capace. E invece lo era eccome.
Sbrigata la noiosa questione, e resosi conto di essere diventato un three-time loser, non gli restò che scaricare le sue pistole in aria e regalare la parole ai sordi.
Davanti a sé, sulla carta, non gli rimaneva infatti che l’essere, il nulla e il tempo – ma, rispettivamente, con “E”, “N” e “T” maiuscole (come non si stenterà a rilevare) – da esperire nella buia gatta.
Sempre che le guardie lo avessero agguantato.


Un copper camuffato da ombra del signor Udo
cerca di agguantare lo stesso.(Non lo mollava un attimo)

Questo, ’o mythos, non lo dice. Sennò mythos sarebbe punto.

Noi, da parte nostra, sappiamo solo che anche oggi, quando piove o s’annuncia il Big One, se ne può udire lo sghignazzo riprovevole rimbombare dalle parti del Golden Gate.

Che fosse uno psycho negare non si può, però non era il solo.

Se infatti, oggi – o domani – uno come te si dovesse imbattere nel signor Udo, sinceramente non siamo in grado di dire come l’incontro potrebbe risolversi.
Una vaga idea magari ce l’avremmo. Ma preferiamo non sbottonarci. Giacché, a differenza del signor Udo Tommy, siamo galantuomini e galandonne.
Sempre ispirati dal sol dell’avvenire.
Con canestri di parole vuote calpestiamo arse aiuole.

VIDEO
http://bit.ly/1hlwIFj
La bravata che costò al signor Udo il marchio di two-time loser
You know what I do to squealers? I let ’em have it in the belly, so they can roll around for a long time thinkin’ it over”.

Oggi, per evitare di guadagnarsi il contraddittorio gallone di four-time loser, il signor Udo verosimilmente scaricherebbe le pistole in aria e regalerebbe la sua parole ai sordi di fronte a questi
argomenti correlati:

Le strade di San Franchisco (sono infinite, ma tutte in salita – a meno che uno non le percorra in discesa)

Bostick (Carolyn says at the other end of the wire – ma con la questione Massachusetts + San Franchisco, sempre in àmbito Bee Gees siamo)
I saw the best minds of my generation (Quattro ragazzi per strada... e sempre in area De Gregori siamo) 
500 parole dall'alba a mezzogiorno (sleeping it off)






Che cosa non seppe il Cavallo del piccolo romanzo fiume Novantuno

G. Manganelli, Centuria
In posa per il piano americano, il brigadiere della brigata cinofila gli disse definitivamente: “Tu sei lui”. 

Zooppass, in quanto fresco cane poliziotto, in quanto fresco cane poliziotto d’acqua in bocca, ma soprattutto in quanto cane, non emise alcun commento.
Quelli che narrano, narrano che fosse già stato cavallo in una vita precedente – non da tiro, beninteso: cavallo da corsa sciolto, sventuratamente in un’epoca in cui non si scommetteva sui cavalli, ma sull’eventualità che presto o tardi nascesse la figura del fantino. Quando sul volto sfaccettato della terra fece la sua (e di chi altri sennò?) comparsa il primo fantino, Zooppass il nostro aveva già lasciato quella vita precedente, per occuparne una successiva – pur sempre precedente ad altre che se ne stavano in fila agli sportelli della metempsicosi.
Quelli che in questa delicata scienza sanno il fatto loro (non meno di quanto sappiano quello della trasmigrazione animale), sovente non sanno il fatto altrui, diversamente sarebbero esplosi di meraviglia – nella brandellosa ricaduta divenendo molecole integrative della fede – nell’apprendere, dalle certe fonti che loro hanno, come Zooppass nella vita replicata fosse ancora una volta cavallo. Il che cesserebbe il dire consolatorio che le vite sono belle perché varie.
Cavallo di specie, senza specializzazione, né carne né pesce, tuttavia cavallo di cavallinità comprovata (dai bimbi elementari che ne’ loro disegni rappresentandolo, lo rendono indiscutibile col dargli un’altezza che in quei paesaggi comparativi sovrasta altri quadrupedi eretti e non eretti radamente alloggiati in prati tirati a strie verdi dove, più che sbucare, “stanno” vegetali [tipo il fiore per lui parla il gambo e tipo l’albero per lui parla il tronco, marron] che, a non sempre rispettosa proporzione dei primi praticoli, dal basso offrono umile rallegrante ornatura a una casa che ben mette in guardia il cielo dal profanare il vuoto, spaventevole bianco confine, fra il sopra celeste e il sotto detto, stabilito dalla sezione immacolata del foglio, il niente di nessuno dove sei certo di una cosa sola, questo sì: che il cavallo è quello che contende al fumo del comignolo la tensione al cielo, e gli altri sono quelli che la contendono al cavallo), bisognoso di prove e occasioni mai avute, cavallo di destino interinale. Di fronte a questo genere di cavallo, anche se non hai mai aspirato a diventare padrone di un cavallo, vedrai che lo diventi.
Tale librarolo inglese senza urgenza di nominazione personale, se non quella – specificazione – che al paese suo la scienza quella sopra lo avrebbe fatto bookmaker nell’addavenire, trovandolo vagabondo in da qualche parte molto squallida come si conviene a esseri interinali, e avendo un carattere contraddittorio che gli ingiungeva di detestare le cose che amava come il veglio Salamano, avendolo prima, a quel carcassato nomade, preso a busse e poi foraggiato, di nuovo motteggiato e poi carezzato e insollucherato, e poi notando nelle reazioni che gli scomponevano il muso come, disserrando la fauce scardinata, quel campione di cavallo tenesse una lingua assai straordinaria, ecco che lui gli diventa padrone.
Senza intenti assassini e successivamente glottosalmistratori.
Zooppass entrò a bottega da quel bibliofilo con l’incarico di correttore di bozzi qualora se ne presentassero sulle copertine di cuoio a processo di tomificazione completato. La sua lingua ruspida ripassava la superficie delle coperte, finché queste risultavano lisce come Dio comandava. E Dio erano tempi, quelli, che comandava.
Gli toccarono altre vite, anche sotto diversa specie, anche fortunate. Finché pervenne a questa.
(...)


Continua▲

© 2001-2014 Mauro Pascolat



CORRELATI: Che cosa vide l’Uomo del piccolo romanzo fiume Ottanta

lunedì 3 marzo 2014

Non ti fidar

Yvonne De Carlo
fuma una siga

Gli accendini fanno la fine che fanno. Il più delle volte una brutta fine. Brutta in quanto accendini. Spariscono. In alcuni casi vengono rubati, in altri rapiti. Non esiste una credibile letteratura in materia. È difficile provare che un accendino sia stato rapito. A quanto si sa, non esistono organizzazioni malavitose dedite al rapimento di accendini.

Rubato: anche in questo caso dimostrare il furto di un accendino non è facile. Eppure esistono i ladri di accendini. Va nondimeno detto che nel 90 per cento dei casi, si tratta di ladri involontari. Quanto al rimanente 10 per cento, non si hanno certezze sulle motivazioni che li spingono al furto.
Non puoi denunciare la scomparsa di un accendino. Non puoi sostenere che ti è stato rubato. Tantomeno rapito. L’accendino non ha consistenza. L’accendino – verrebbe da dire – non esiste. Non vale niente.
Tranne quando lo compri. Allora qualcosa vale. Dipende. Mentre scriviamo, il prezzo di un bic può oscillare fra gli 1 e gli 1,20 euro. Bic di marca, s’intende.
Esiste poi una serie infinita di imitazioni – o comunque di accendini che si rifanno al prototipo – sulla cui durata non esistono certificazioni. Ma nemmeno sui bic ne esistono. L’utente avrebbe diritto a una certificazione. Lo sostengono – e con forza – anche le associazioni difesa utenti accendini. Ma per quanto sostengano, non c’è chi presti loro ascolto.
Il motivo dovrebbe essere questo: gli accendini non esistono – verrebbe da dire. Ma nemmeno questa ipotesi è agevolmente sostenibile.
Recentemente, un filosofo (benché dilettante) di Laives ha levato un certo numero di scudi contro la sordità degli organi preposti non solo alla gestione sul territorio italiano del commercio degli accendini, ma alla verifica dell’esistenza degli stessi. Egli, ben sapendo che i riscontri sarebbero stati pressoché nulli (per il fatto che le lobby dei filosofi non fumatori preponderano), ha tuttavia atteso paziente una qualche reazione.
Qualcosa si è mosso, in effetti: c’è stata una risposta da parte di un filosofo fumatore (da poco espulso dall’Ordine dei Filosofi) di Muscoli del Capitano (frazione di Cartacanta di Serviliano). Argomentazione decisamente insostenibile, non ha sortito effetti significativi.
Siamo al punto di partenza?

Italico Nasvitz, cantautore di Barcola, ha forse dato un nuovo indirizzo alla questione, componendo una canzone intitolata Reticenza. Il testo non è disponibile (egli teme i rapitori e i ladri di accendini anche quando si presentano come portatori di doni). Ma il concetto è questo:

Avevo uno zippo che gli americani regalarono a mio tsio quando ci vennero a liberar;
Gli dissero: “Non ti fidar di due cose: di un bacio a mezzanotte
E di un bic”.

C’era ruggine fra americani e francesi. Ma ancor oggi, Italico conserva lo zippo che sfida venti, tempeste ed elementi di ogni fatta.