venerdì 29 novembre 2013

Venerdì nero ecc. ecc. ecc.

I gemelli De Rege-Marx
I gemelli De Rege-Marx colti nell’esplodere uno starnuto nero (lo abbiamo
corelphotato [mica c'abbiamo il sciop] noi, se no col cavoletto di Bruxelles
si vedeva) speculare che dà vita a una nebulosa.
È evidente che i due non si vedono l’un l’altro.
È altamente probabile che non vedano nemmeno lo specchio.
Altroché venerdì nero in arrivo: è già fra di noi il Black Sneeze, lo starnuto nero. Quelli che pensavano fosse un calesse, purtroppo dovranno ricredersi: è proprio un virus, di quelli col genitivo a regola d’arte.

La questione del virus col genitivo, come vedremo, non è di secondaria importanza.

Tutto il mondo dice ecc. ecc. ecc. oppure etc. etc. etc.
 

I filosofi di Mestre dicono: “A questo punto è più che evidente che la questione è squisitamente politica ecc. ecc. ecc.”.

Gli osservatori di costume svolgono impeccabili analisi sulla luce in fondo al tunnel, percorrono per giorni il tunnel a piedi, verso quella luce, e una volta giunti in prossimità del Vero e del Bello chiosano: “ecc. ecc. ecc.”. Non ci mica nasconderanno qualche orrenda verità non bella e non vera?

Gli economisti elaborano concetti imperscrutabili sulla “curva del 1997” per ore e ore; poi quando arriva il momento di tirare una sacrosanta somma, dicono: “ecc. ecc. ecc.”. Noi chiediamo spiegazioni su questa benedetta “curva del 1997” e loro ci deridono: “ecc. ecc. ecc.”. Mah, tutto può essere…

All’esame di Laurea, la studentessa di copywriting sorprende il Relatore e Controrelatore con questa ipo-tesi: “Fare la copywriter è una cosa che ti svegli la mattina, fai una docciua, bevi una spremuta di fichi d’India ecc. ecc. ecc.”.
Tutto concludendosi in gloria, nel ricevere un bacio poco accademico sente sussurrarle  nell’orecchio: “Non avrai mica copiato la tesi da un writer? (ecc. ecc. ecc.)”.


Chiedo a un passante di Mestre, non filosofo: “Scusi, c’ha mica d’accendere?” Lui estrae un accendino dicendo “ecc. ecc. ecc.”, cioè, l’accendino non funziona, è di quelli neri come lo starnuto, concepito per non tradire il livello terra terra del gas – ma gli studiosi di markettìn spiegano: “Serve come misura precauzionale affinché i bimbi, quando giocano con gli accendini – e sono miliardi, ’sti giocatori d’azzardo – non si accorgano che dentro c’è tanto gas da far esplodere l’accendino ecc. ecc. ecc.”.

Vado al Festival dei Corti, vedo un corto di 54 secondi (che poi risulterà ben secondo classificato) chiamato Shrunk, dove c’è uno con una faccia da mezzo matto che tenta di infilarsi i pantaloni dopo un lavaggio fallimentare (sbagliato programma). Impreca alquanto, ed è subito notte: vedo trascorrere i titoli di coda: “ecc. ecc. ecc.”.

Vado al Festival del scìnema di Roma e fremo in attesa della Scarlett: finalmente arriva, in tutto il suo splendore scarlatto, si dimostra molto disponibile – commenta un critico-poeta di un tg – nel firmare autografi per ben 5 minuti. Poi dice: “etc. etc. etc.” e se ne va. Non male, per mezzo testanzone. Anche la disponibilità ha un prezzo: questo è il prezzo della disponibilità.

Finalmente arriva uno dell’Associazione difesa consumatori e accusa sprecatori. Fa: “Ma scusate, dico io: perché usare tre ‘ecc.’ quando ne basterebbe uno? Abbiamo calcolato che se tutti, in questo Paese (che certo ci sono segnali di ripresa e autovelox di ripresa – magari un po’ troppi, i secondi intendo) noi (plurale pagliacaudato) ci limitiss… limiterebb… insomma, se userebbimo meno ‘ecc.’, potram…. Insomma, si va a sparagnare fino a 10 miliardi di vecchi euro all’anno luce”.
 

Ah, apriti cielo! Arrivano quelli che vedono comunisti come noi, genti comuni, quando ci guardiamo allo specchio, vediamo prima di tutto lo specchio.
E dàgli di Gatling: “Ma lei cosa vuole capire… Io capisco che lei quando io… Non mi interrompa, che io non l’ho interrotta, se non interrompendola per dirle che io capisco che lei ma non capisco che lei mi interrompe… Vergogna! Vergogna! Capra! Capra! ecc. ecc. ecc. … Viva la Libertà! Viva il contrario della Monarchia! Viva V.E.R.D.I.! ecc. ecc. ecc. … Traditore! Capra Spiatoria!”


Un Professore di Lettere Antiche (di centro – dunque non sospetto), che per caso passa di là, chiede cortesemente la parola. Non gliela danno. Allora lui si rivolge a una maestranza intenta ad analizzare twittate sul loggione tubi innocenti: “Scusi, ma et cetera è sufficiente ai nostri fini. Lei crede che Seneca, nella sua corrispondenza con Lucilio, si congedasse con 3 et cetera? Nemmeno con uno, a dire il vero. Si limitava a un Vale – che è come dire… ”
“Salute!” sembra augurargli la tuittera.
“Etcì etcì etcì” non si trattiene il Professore non sospetto in quanto di centro. “Mi scusi…”
“Si figu… etciùm etciùm etciùm” non si trattiene la bella.
“Che fa?… etcì etcì etcì…” chiede il Prof. “Declina?”
“Mannaggia, mi ha trasmesso il Black Sneeze… etciùm etciùm etciùm...”
“Un etciùm è sufficiente… etcì etcì etcì” puntualizza incoerentemente l’uomo di Lettere Antiche, “anche se un ‘etciorum’ sarebbe più corretto…” e si copre con forza la bocca, e si tura il naso.


Nell’arena, fra le tribune innocenti, tutti iniziano a interrompere tutti: “Etciùm etcì etciùm etciùm etcì.. Viva la Libertà! Etcì… etciùm… Vergogna! Capra! Capra… etciùm… borscevicchio!… Vergogna! (etcì etcì etcì)”.

ecc. ecc. ecc.

In fondo al tunnel nero si intravede il virus del Black Sneeze. C’est l’empire à la fin de la décadence.
 

Ma sempre meglio della peste bubbonica. Forse.

Come al (quasi)  solito, un ringraziamento a Marsiano (Commentatore e Commendatore Unico di questo blog with dirty little lips), il quale mi ha informato di questo Venerdì nero che io sapevo esistesse minga. Credevo fosse un virus, e invece – ma guarda tu, a volte... quando si dice... – è proprio un calesse.

(y) TU MAMÁ (también)







Secondo me, è meglio che resti con la mamma: lei ti lava, ti stira, ti cuce e ti cuoce.
Meglio che stai con la mamma: lei ti lascia attaccare tutti i poster che vuoi in cameretta, anche quelli di Giovanotto, e in cameretta ti permette anche di fumare (purché fumi in pigiama e fai attenzione a non addormentarti in letto con la cicca accesa), di usare il pc almeno fino a mezzanotte/l’una, non ti viene a spiare la cronologia, ma per sicurezza imposta che la cancelli tutta quando lo spegni: e per i bookmark usa delicious – come password ti consiglio “maMma”, con quella M maiuscola che svierebbe chiunque, anche i geek dei telefilm che craccano pwds tipo 2M0rKgP33CnZ4 al terzo tentativo, e dicono “pfhh” fra gli applausi dei presenti – e non sognarti nemmeno di usare i preferiti del browser).

Senti a me: resta con mamma tua, pure un tatuaggio sotto l’ombelico ti lascia farti tatuare – basta che vai da un tatuatore iscritto all’albo, uno di quelli che c’ha il diploma appeso al muro, e in bella mostra anche la Dichiarazione Universale dell’Etica del Tatuaggio (Tattooing Universal Ethics Declaration, TUED).

Una cosa, però: non usare mai la fionda! Che non ti salti mai in quella testa di rapa di andare in giro a tirare ai passeri con la fionda. Siamo intesi?

Te lo ripeto, è meglio che resti con la mamma: lei ti lava, ti stira, ti cuce, ti cuoce, ti legge, ti scrive e ti fa di conto.
E soprattutto ti tiene da conto…
Immagina, solo per un momento, se tu dovessi uscire in strada, in mezzo alle genti, con quell’aria da un po’ troppo stupido (non illuderti: sei una testa, ma neanche lontanamente una cima di rapa), con quel faccione pieno di bruschi sul punto di scoppiare… Non appena ti vedessero, le genti non avrebbero un attimo di esitazione a chiamare la croce verde o il 113… Non sei d’accordo?

Un altro consiglio ti voglio dare, spassionatamente: non sottrarre indebitamente la pensione alla mamma per scopi illeciti – e manco per quelli più o meno leciti, questo sia chiaro. Magari un qualche euro, ogni tanto, en passant davanti al portafogli incustodito nella borsa della spesa di mamma tua.
Ma non sfidare la sorte! Ché tu mama mica l’è nata ieri. E il Signore (e non quello di sotto… Ma no… Non del piano di sotto [testa di rapa!], quello più avanti in questo post!… ) è sempre lì che ti… Come “dove”?… Eh?… Noo, figuratamente, testa di cacio… Ci siamo? Ok. Dicevo il Signore ci siamo capiti chi, ti osserva, ti scruta, ti tiene d’occhio e, se è il caso, ti segnala – questo la prima volta; alla seconda che gli fai, ti piglia e ti porta all’ufficio soggetti smarriti.

Stare con mamma tua a te, guarda che ha i suoi vantaggi. Per dirne uno: potresti andare con lei nelle gite dei pensionati, in quelle località sperdute di montagna dove nessuno ti noterebbe (volevo dire “ti kagh…”, ma sai bene che io sono un signore), con quel berrettino da Qui Quo Qua in testa.
D’estate, poi, potresti andare con lei alle terme, magari ad Abano Terme – che anche tu capisci che si chiama così per via delle terme e non per via dell’Abano.
Basta che prometti una cosa: non tirare i calcoli renali (uh, le fogne ne abbondano!..) con la fionda alle donne cicce che nuotano nelle piscine, perché poi arriva il signor bagnino, ti piglia e ti usa come sgabello da bar per le signore cicce e i signori cicci che bevono spremute di sedano, aglio, fravaglio e rape per disintossicarsi dal logorio della vita moderna. E guarda, che se trovi un bagnino tipo Cattivik, quello è capace che ti usa quella testa di rapa che c’hai in testa come ingrediente per le spremute. Non ci credi? Ah, bello (si fa per dire) mio (anche questo sempre per dire, che tu sei bello di mama tua a te)… Quanto scommettiamo? Tutta la pensione della mamma? Tu ridi, eh? Sorridi? E chi ti credi di essere? Franti? Mavalà mavalà

Dami retta: resta con mammà: lei ti lava, ti stira, ti cuce, ti cuoce, hoochie coochie man. Vai tranquillo.
Tranquillo.

Allora, riepilogando (hai preso nota?): cosa devi fare tu nella tua vita? Eh? Sentiamo.
(“…”)
Benissimo, così mi piace.

’Scolta i dischi di Giovanotto, di Bascorosso, guarda pure i videi del tubo, infilati in qualche cerchia di ghiugl plas, apriti un account su fesbu (ma non mettere la tua foto, metti magari quella di “What Else?”, photoshoppagli un attimino il grigiore, piazzagli un paio di occhiali neri e un paio di favoriti – ma non metterlo fra i favoriti e gli I Like, che non ti becchi una denuncia…), fuma pure in letto (ma vedi di non addormentarti, che poi provochi un incendio e ti ustioni tutto quanto, da capa di rapa a piedi di porcellino, e ti tocca fare la plastica… oddio, non che tutti i mali vengano per nuocere…), quando vai sui siti per soli grandi usa moderazione: non dico che si diventa ciechi, ma perdi tante di quelle diottrie (a causa dell’esposizione prolungata al monitor, intendo: guarda che la vita non è Rush, e tu non sei Leon Broznic) che poi ti ci vogliono due fondi di bottiglia e una badante.

Tuttavia, tu non sei fatto per certe cose… tipo zuffe nelle discoteche, street fighting, sradicamento di sanpietrini… Non sei il tipo da andare in guerra in Iraq… e che, ci vai con la fionda? Guarda che ci vogliono due ballotte tipo il rosso d’Inghilterra, quello che spara con la mitraglia nel mucchio per “prendere una vita per salvarne un’altra”, manco fosse uno della Disperata in Etiopia.
Non sei fatto per queste cosa, credimi, te lo dico col cuore in mano: non hai speranza.
Tu non sei Cattivik.
Tutt’al più sei un po’ Bastardik.

Y tu mamá también.


Scriptum post Post: Post liberamente ispirato a suggestione (Cattivik) di Marsiano ► – Commentatore e Commendatore Unico di questo blog with dirty little lips – e a quella del  Signore qui sotto (che non è quello di sopra e nemmeno quello sotto quello di sopra):



giovedì 28 novembre 2013

’A naryce ’e Cyrana: una storia d'amore ai tempi della collera borbonica




Cyrana e Pincio con le rispettive promettenti naryci ai tempi (oltre che della collera [borbonica]) in cui le stesse erano ancora solo promesse.

PROLOGO
  
Durante il regno borbonico a Napoli (si parla di tanto tempo fa), sempre a Napoli c’era una ragazza di nome Cyrana, caratterizzata da un ampio naso con una grande e ricettiva mononarice.

ENTER PINCIO

Sempre a Napoli, a quell’epoca, prestava servizio militare Pincio Nez, un soldatino francese dotato di un naso lungo e affusolato, provvisto in punta di una micronarice tubicolare talmente stretta che Pincio doveva eternamente respirare con la bocca.
Era inevitabile che il destino li avrebbe fatti incontrare.

ENTER CYRANA

Ordunque: Cyrana si sentiva sola e indesiderata a causa dell’handicap rinico. Pincio Nez era triste poiché non sapeva dove ficcare il naso, ma soprattutto perché tutti lo chiamavano Pincio, che – badate bene – non era il suo vero nome. I commilitoni lo avevano così soprannominato in quanto egli era l’unico a sottoporsi di buon grado a uno dei più diffusi giuochi (o, se vogliamo, scherzi) di guerra, vale a dire il pinciamento sopra la turca finché, sopraffatto dalla fatica, crollava con il volto nella stessa. Più spesso che non, infatti, i goliardi solevano incitarlo, moschetti alla mano: “Pincia, pincia di buon grado, tanto col naso chiuso non senti niente”. Be’, in qualche modo gli venivano incontro, insomma.
Data la difficoltà a respirare con il naso, Pincio Nez decise di dedicarsi agli esercizi di respirazione Zen: ma poiché egli si chiamava Nez, gli esercizi gli riuscivano al contrario, e pertanto erano utili fino a un certo punto – non è dato di sapere quale.
Un giorno, mentre si trovava in libera uscita, Pincio Nez incontrette a Cyrana e fu subito elettrizzato dalla promettente ricettività della di lei mononarice.
Anche Cyrana era attratta dal naso a micronarice tubicolare in punta di Pincio. Fra i due non poteva che essere amore a primo olfatto.
Prima di andare sull’esplicito, tuttavia, Pincio Nez riempì la testa a Cyrana di concetti Zen. Arrivò al punto di scrivere per lei una serenata allusiva e propedeutica che apparentemente conteneva principi sull’arte della manutenzione della narice e sull’inutilità di tenerla serrata quando gli è inevitabile che l’aria prima o poi vi penetri.

Le parole dicevano:
Malgrado i tuoi immani sforzi turativi tu non riuscirai
ad evitare che le tue narici si riempiano d’ariaaaa…
ariaaaa…

La musica faceva – più o meno, naturalmente – così:
La-la-la-lalaa-la-la-la-laaa-la-laa… (ad lib.)


Che tradotta in termini di udibilità, ci dà tanto:






EPILOGO

Cyrana e Pincio, convolati a nozze a piedi, ebbero due gemelli (s’è mai visto qualcuno a cui nasce un gemello?), che chiamarono rispettivamente Rino e Rina, benché inizialmente volessero chiamarli rispettivamente Rina e Rino.

EXEUNT

’O mythos déloi un sacco di cose, ma in special modo che ’a naryce ’e Cyrana poteva essere esplorata sia da sinistra verso destra che da destra verso sinistra.

mercoledì 27 novembre 2013

Grave Oddity: l'uomo che ebbe per lapide il monolito di "2001: Odissea nello spazio" dacché scelse per epitaffio quanto segue:




Mi dispiace di morire, ma son contento,
son contento di morire, ma mi dispiace.

Mi dispero di cotanto, ma son marice,
mi m'oriento di 'sti "dice", ma son compare.

Mi discondo di torace, ma son di spire,
mi cospiro di mendacie, ma son portento.

Mi contento di mimire, ma son spadace,
mi disdice di comere, ma son spomanto.

Di dimane mi pascire, ma condimento,
mi dirime di conare, ma son spidento.

Mi cimento di do' spari, ma son mirante,
mi c'ho posto di mirare, ma son discente.

Mi dissento di coppare, ma son romito,
mi ci spero di micare, ma son dimento.

Mi, sporadico rapito ma con triremi,
mi scontento di rimare, ma son dipinto.

Mi esperanto di edipire, ma son accento,
mi rimane di s*c*o*p*a*r*e1, ma son di dinto.

Mi dicette di spuntare, ma son matito,
mi rapace di spedire, ma son carento.

Mi, capace di sprecare ma mo' son tonto,
mi ci pento di donare, ma son morente!

Mi dispiace di morire, ma son contento,
son contento di morire, ma mi dispiace.

(zum zum!)


PS: non andate necessariamente a cercare peli negli anagrammi

1 - Timeo algorhythmos et dona ferentes


Getti Proigi Gigi Proietti
Getti Proigi: listen!
Addenda:
Son contace di morire, ma mi dispiento,
mi dispiento di morire ma son contace.

Di morace son contire mi ma dispiento,
dispiace consontire mi ma son tace...

domenica 24 novembre 2013

La donna che diceva “Come dice, scusi?” a tutti

Cyber-fotoromanzo online


La nostra Donna all'età di 25 e di 82 anni
Tutti gli uomini – che mascalzoni! – erano attratti da una donna particolare, che potremmo definire “non esattamente repellente”, come Ciccio dalle torte che Nonna Papera suole mettere a raffreddare sul davanzale della finestra o, in altri casi, come le mosche sogliono essere attratte dalla merendina senza en, il noto medicamento finalizzato a raffreddare gli animi turbolenti. (Per inciso, sapete perché Ciccio dorme sempre – in particolare nel confortevole fienile? Perché Nonna Papera, non essendo nata ieri, tre volte accortasi [non una volta accortasi, giacché ella ha sempre bisogno di prova e controprova] dei raid di Ciccio, ha cominciato a solere arricchire gli ingredienti misteriosi della sua ricetta segreta con gocce di quel medicamento – per ottenere il quale, sia detto incidendo ancora, è necessaria e sufficiente la ricetta del medico (possibilmente con certificazione di laurea). Poiché la sorella di Zio Paperone – detto per un terzo inciso: forse non tutti sanno che la simpatica vecchietta è sorella a quello che [e forse non tutti lo sanno – e incidiamo vieppiù!] originariamente reca il nome di Uncle Scrooge, che, forse molti ma non tutti sanno, deve tale nome a un personaggio frutto della fantasia di Charles Dickens, il celebre scrittore [sia specificato per quelle due-tre persone al mondo che lo ignorano] inglese (per meglio dire, britannico –… Poiché Nonna Papera… Poiché cosa? Ah, pio bove! Abbiamo perso il filo. Ma tanto il bello dei blog è che – diversamente dalle avventure di Nonna Papera, fondate sul predeterminismo storico – per fortuna sono editabili, e semmai ci ritorneremo – e, per conciso inciso, ben volentieri – su questo “poiché” abbandonato “nei meandri della Storia”, con la “S” maiuscola – ché c’è anche quella con la “s” Minuscola, vale a dire la “storia” che non segue dopo un punto o non si colloca a inizio di paragrafo – come sogliono argomentare gli storici, ossia quegli uomini che a furia di guardare indietro finiscono per pensare all’incontrario – e non lo diciamo noi, credeteci, bensì Nietzsche, con tanto di avallo di Galbany, che – come molti di voi ben sanno – vuol dire “Fiducia”, in ucraino).

Torniamo dunque a noi, ma soprattutto agli uomini – che mascalzoni! –, tutti gli uomini, a livello globale, e al motivo della disperata attrazione che li condannava a macerarsi per questa donna, che talune riviste di storia con la “S” minuscola e di Costume con la “c” – forse si noterà – Maiuscola ponevano in testa alle loro inappellabili classifiche, in cui si dà ordine alle “100 Sexiest Women in the World”.
Si diceva: tutti gli uomini – nessuno escluso – provavano un’attrazione fatalistica nei riguardi di questa donna per una ragione semplicissima: ella – a giudizio dei disperati, va da sé – risultava essere non un gran pezzo, ma tutto di quella cosa che, per l’appunto, la distingueva dagli uomini – questi mascalzoni! –, i quali le stavano sempre addosso, come un corpo di ballo di bei tomi hollywoodiani a Marilyn Monroe o a Cyd Charisse, nel presentare loro diamanti, perle, zaffiri e assegni – questo, detto in modo del tutto incidentale – nel caso in cui le esigenze di produzione richiedessero un’accelerazione dei tempi di ripresa del dato film.
Il leggendario approccio di stingo di santo.
Per inciso: stingo, macho secho, teneva molto alla sua "S" Minuscola,
in onore non tanto dell'eroe dei P'lice pleese me, oh yeah,
quanto del personaggio di un romanzo di William Styron
(con la "s" maiuscola) di cui aveva letto numerose pagine

Nella più parte dei casi – per fare un esempio – uno di questi uomini (per inciso, quasi tutti timidi e complessati) si avvicinava alla donna, rimanendo impalato e interdetto per alcuni secondi, per poi prorompere in un inusitato: “Io ti amo”. Al che, la donna replicava confusa: “Come dice, scusi?”
stingo si becca il primo di una lunga serie di
“Come dice, scusi?”
“Ma io... bo-bo-mm-bf...”
Solitamente, a quel punto, l’invaghito balbettava: “Oh niente, le chiedo scusa… Io non volevo… cioè… è che io… Io… io…”
La donna, tuttavia, mossa da una curiosità patologica, insisteva: “Come dice, scusi?”

“No, niente… lasci perdere, signorina” (per inciso: nonostante la legge fosse esplicita nel deprecare, quando non proibire, l’uso del termine “signorina” in favore del più corretto “signora”, questi uomini, in spregio al primato del Diritto, non venivano mai meno a quell’indelicato vocativo).
Ma la donna, non datasi per vinta, ribadiva: “Come dice, scusi?” a sottintendere “Ma perché non vedi di andare a farti benedire in quel paese o a farviti fottere?” e proseguiva per la propria strada. Nel proseguire, pensava “Gli è andata bene che non gli ho
“Ma perché non vedi di...” è la reazione
apparentemente scomposta della nostra eroina.
assestato uno schiaffo di taglio…” Ma, di solito, fatti pochi passi, si arrestava, si portava un dito alle labbra a manifestare riflessione e analisi approfondita dell’evento (come sogliono fare i filosofi: si portano un dito – di norma l’indice – ai labbri, a verificare ipotesi le più strambe e a ponderare se non sia il caso di promuoverle a tesi), dopo di che tornando su quei medesimi passi (spesso muovendo all’incontrario, come suole fare lo storico o come suole fare il calzolaio), raggiungeva l’uomo che le si era tanto goffamente dichiarato, lo afferrava per la collottola volgendolo a favore dei propri splendidi occhi e lo apostrofava: “Come dice, scusi?”
Ai farfugliamenti di “Niente… io veramente…” del perdutamente perduto, la donna d’alta classifica e classe soleva aggiungere un nuovo e più perentorio:
"Forse ci siamo", pensa saggiamente stingo
“Come dice, scusi?” per poi invitarlo immantinenti nel suo loft – ché, detto per inciso – costei viveva in un attico super con vista super una delle più belle città del mondo – e mai vi diremo di che città si trattava, benché sia evidente di quale Paese si tratti.
Che c'è di meglio prima di una docciua?
Una volta nell’attico o loft, la donna estraeva dal frigidèr una bottiglia di vino rosso o bianco – dipendeva dall’ora – e se ne versava una modica quantità (ma per più volte, sarebbe risultato in seguito) in un bicchiere – da vino, proprio, con tutti i crismi –, soggiungendo: “Vado a farmi una docciua con l’acciua”. Nel frattempo, l’uomo soleva svenire, non prima di aver mutamente esultato, rinvenendo in tempo per udire lo scrosciuo dell’acciua della docciua e fantasticando chissà quali pazze reverìe.

Evitando l’inciso, diremo che l’uomo – il più delle volte – aveva una faccia tipo Sting e fisico matching macho non esagerato, però. La donna, uscita dalla docciua con la chioma appropriatamente bagnata e indossando un comodo e molto sagging pullover di Armani e leggings di McQueen (non Steve, ché mica lei era la Ali) ma entrambi suoi, sorseggiava il vino umettandosi i labbri negli intervalli di sorseggiamento. (Per inciso che supplisce a una nostra negligenza narrativa: prima del lavacro, la donna soleva lasciare lo stingo di santo in compagnia di una bottiglia di vino californiano 1  invitandolo a “servirsi pure”).
Per i due estranei, a quel punto, cominciava il processo di de-estraneizzazione, per lo più iniziativa della donna, che poneva cento languide domande al suo ospite – questioni a volte pertinenti e altre meno, rimanendo in assente ascolto delle risposte che o chiosava con osservazioni metafisiche o con – data l’assenza – la domanda: “Come dice, scusi?”
Al calar delle ombre e al crepitar di un improbabile fuoco in un improbabile caminetto e di un cd (o meglio ancora, vinile, che – pare – sia più durevole e comunque oggi trende [proprio perché crepita, così dicono], ma se ti cade per terra si sdentella, quantomeno – a me, personalmente, è capitato con… ma ne riparleremo) di jazz for dummies – il più delle volte Pat Metheny – o di rock for dumbs: immaginate guaiti Coldplay –, la coppia si scaraventava
  
Purtoppo non possiamo mostrarvy dettagly ben più piccanty
di questa couch story


sul divano esotico, Lei sbranandogli il casual di sopra e quello di sotto – a rivelare rispettivamente petto depilato e boxer diesel ma suo (la mutanda, l’occhiale, la scarpa, ecc., impone oggi l’idioletto modistico nel suo contributo alla lotta agli sprechi nel Mondo) – e Lui non osando sganciarle l’indumento che, nascondendo, lo hornizzava massimamente. Non vale la pena soffermarsi su quanto accadeva tra le due dissolvenze (che a questo serve la dissolvenza, no?… Vale forse la pena riportare una topica della donna, quando, più ebbra che no, poneva la sua epigrafe all’atto venturo: “Non perdiamo tempo, facciamo l’amore, dài [pausa sospirante per il climax]…
"La dissolvenza è tutto", soleva dire Napoleone
prima di ogni Bataille e di ogni Deleuze
ché l’amore, non esistendo, dobbiamo farlo” – d’altro canto lei, come vedremo – forse – più avanti, mica per niente era, nonostante la tenera età, avvocato in una nota firma tipo -Berg&-Stein, o qualcosa del genere, nel ramo penalista-esistenzialista).
Ma sul letto inondato dalla luce della prima alba essi giacevano nel sonno dei giusti, verosimilmente ignudi, protetti dal solo ninzuolo bianco, fosse, di fuori, la temperatura anche venti gradi centigradi al di sotto dello zero 2 .
Un grappino doppio e un bel "Come dice, scusi?"
alla -Berg&-Stein in divisa d'ordinanza
Primo al risveglio, l’uomo rimirava la donna come la mamma il neonato. Dando ella segni di ritorno alla veglia, lui le sfiorava i labbri, che, disserrati, liberavano quell’alitino che si sa (aggravato dai fermenti vinosi)… Ma lui, con l’olfatto compromesso da ben altri fermenti irrisolti, quelli dell’innamoramento, mica ci dava peso. Le sussurrava, con frasi lievi, il consistere del suo sentimento.
Finalmente la donna, tutta presente a sé, o quasi – loro, là, dicono hangover, laddove noi, spreconi, ci ricamiamo un racconto breve – soleva sguardarlo di uno sguardo cisposo, per poi scattare seduta (l’orlo del ninzuolo su al dove si confà), come a tenere la distanza dai sussurri, e sbottando: “Come dice, scusi?” e “Ma chi [diavolo – nel migliore dei casi] è lei?” e “Che cosa ci fa nel mio letto?” “Se ne vada immediatamente o chiamo la polizia”, nonché “OMG… devo aver bevuto troppo ieri sera”. Sì, in effetti lo doveva avere.
Lo stingo – stando attonito quanto e più della terra al nunzio dell’improvvisa dipartita di Napoleone – era incapace di muoversi (immobile, siccome), attitudine che non migliorava la situazione. Biascicava: “Ma io… tu… noi… ”
“Come dice, scusi?”
Facendo ella l’atto di digitare il 911, lui, schioppatagli intorno la bolla dell’amore in cui era prigioniero, levava le gambe, e boxer alla mano, spendagliante tutto, prendeva la porta (figuratamente, s’intende) e la via delle scale, trovandosi subitaneamente in strada discinto tutto, per essere di norma fermato dal poliziotto e in quelle condizioni tradotto alla centrale per i soliti, scontati, noiosi accertamenti.


Fatta la prima docciua quotidiana e una leggera colazione a base di zukini e prezzemolo, lavati da una tazzona di sostanza liofilizzata (“ma con molto, molto tsùcchero!”), la donna (imprecando sotto voce “OMG, OMG, OMG…”) chiamava “taxi!” e raggiungeva il tribunale, senza passare per la firma, dove l’attendeva la pagnotta.



Ella, sì e no 25enne, era – l’abbiamo detto, no? – uno dei più valenti attorno alle legge della città e forse dello Stato (non azzardiamo ipotesi a livello nazionale). Otteneva risultati strepitosi in casi apparentemente impossibili. Nei ritagli di tempo, per diletto, aveva risolto al computer – scriveva con dieci dita, senza guardare la tastiera, senza degnare di un’occhiata il monitor, sorbendo calici di vino servendosi unicamente delle belle labbra e dei denti perfetti – numerosi casi irrisolti e irrisolvibili, fra cui il caso Lindbergh, quello Sacco e Vanzetti (per i quali aveva naturalmente ottenuto il proscioglimento), aveva difeso con successo John Wilkes Booth, aveva fatto scagionare Jack Ruby e Lee Oswald (scongiurando in tal modo ben due assassinii), aveva appurato che la Dalia Nera era un’invenzione di James Ellroy – anche se ora era alle prese con un caso virtuale che si presentava un vero osso duro, un intrigo internazionale in piena regola, nel quale era coinvolto per un’infinità di reati un personaggio di spicco della politica di un celebre Stato dove la lingua più parlata era l’italiano. Ma non disperava né demordeva: all’età di 7 anni aveva risolto persino il caso di Topolino e il Piranka Kuka Baruka.

Solo 7 anni, e già risolveva complotti da capogiro
(Illustrazione di Stefano Baratti)
La donna era una tigre in corte: guardava il cliente imputato con occhi teneri ma alla sbarra era spietata con i testimoni a carico. Per il criminale che si metteva nelle di lei vellutate mani, il processo era una barzelletta. Una formalità.
La sua strategia era elementare e consisteva nel porre una raffica di domande al testimone, alle quali replicava: “Come dice, scusi?”
Quando il poveraccio ripeteva, ella, la linea rigida fra le mani: “Come dice, scusi?”
A quel punto era necessario l’intervento del Vostro Onore, che mediava in favore della giovane avvocata la risposta del deponente.
“Come dice, scusi?” ribatteva l’inflessibile. Manco un “Vostro Onore” buttava alle ortiche.
Cosicché al/alla giudice, ai 12 giurati e all’aula tutta sfibrati da mesi di “Come dice, scusi?” non rimaneva che cedere le armi. E vittoria era!
All’uscita dal palazzo di giustizia, la stampa – forcaiola e garantista, che in questo caso era concorde nel rilevare qualche vizio di forma (e di sostanza) – attorniava vanamente l’attorney subissandola di domande.

La distruzione di un testimone a carico
“Come dice, scusi?”
“Come dice, scusi?”
Invitata a prestigiosi tolc sciò, alle lunghe, complesse e articolate questioni poste dagli uomini e dalle donne d’ancora, ella – verrebbe quasi da dire sfacciatamente – non aveva da opporre che un filosofico “Come dice, scusi?”
In quello Stato i tori, numericamente e simbolicamente parlando, erano quelli e quello che erano, ma non ce n’era uno che non fosse decapitato.

 

E, come suole, arrivava la sera.
La donna si avviava verso casa canticchiando “Just a perfect day, la-la-la-la-lalalà…” tra la folla di milioni di potenziali corteggiatori.
Com’è ovvio, veniva continuamente avvicinata dallo stingo di turno.
E il rituale si ripeteva. Uguale a quello che abbiamo descritto.

Il Tempo, che si era stancato di ammonirla, non era tuttavia scemo.

 

Gus Guns mentre pronunzia la sua fatidica dichiarazione di intenti
Quando la donna invecchiò – non prima di essersi sposata con un ex carcerato e suo assistito, Gus Guns, che alla di lei domanda “Come dice, scusi?” aveva risposto “Io non dico e nella fattispecie mi scuso ancora meno” (per l’intera durata della loro unione non si parlarono e non si scusarono, anche perché, non  parlandosi, non avevano nulla di cui scusarsi) e soprattutto essere guarita da un numero incalcolabile di VD e aver avuto due figli, fra femmina e maschio, uno dei quali le diede un nipotino che fu chiamato Ciccio – soleva preparare delle torte squisite, come suole fare Bree Van De Kamp, anch’ella mezza alcolizzata e nota manizer, attività che aveva su di lei un effetto tranquillizzante rispetto all’ossessione della morte (ossessione infondata, in quanto, come forse pressoché tutti sanno, la torta rende immortale colei [ma non colui] che la crea [e non lo diciamo noi, ma Platone e Walt Disney]: come spiegare, altrimenti, l’eternità di Nonna Papera?) e rispetto a tutte le furie su cui la mandavano le incessanti, continue, maniacali incursioni del nipotino tortadipendente finalizzate a impossessarsi delle leccornie e delle leccornìe partorite dalla nonna.
stingo, in braghe di tela, standing on the corner,
senza nemmeno suitcase in his hand,
guarda la vita passargli accanto
(come accadde una volta a De Gregori)


A questo punto (siamo ormai al momento dei saluti – come suole dire una ben nota telegiornalista vincitrice di svariati campionati di telegiornaliste indetti da un delizioso sito internet che, pur avendo in teoria molte cose da fare, preferisce dedicarsi anima e corpo a questa commendevole iniziativa), non è da escludere che molti di voi (ma possiamo darvi del tu, pur sapendo che siete in milioni a leggere questa favola?…No? D’accordo, sarà per un’altra volta…) abbiano congetturato che il nome di questa donna fosse Nonna Papera. Fuocherello…


Ciccio - che mascalzone! - colto in flagrante
da Nonna Papera in persona e dagli ospiti del loft tutti
con la torta ormai mutilata

Note
1 Abbiamo notato – detto in uno stramaledetto inciso a scopo divulgativo – come abbia preso piede, nelle produzioni filmiche e telefilmiche statunitensi, l’uso e l’abuso, da parte soprattutto del sesso quello gentile, di vini d’ogni colore, consumati a ogni ora del giorno tramite quei bicchieri appositi da vino. A nostro modesto parere, la costumanza surroga il vuoto lasciato dalla tragica – in particolare per le compagnie del tabacco – scomparsa dei messaggi subliminali non occulti di cui si facevano un tempo latori i fumatori di Hollywood, l’antonomastico Humphrey Bogart in testa. Sarà paranoia, ma potremmo ipotizzare (e, in un secondo tempo, magari tesizzare) che dietro l’abitudine alcolica – un’evidenza che si tenta di passare in secondo piano (con il paradossale effetto del risalto) mostrando le bevitrici in incessante affaccendarsi nel taglio di quintali di zucchine (americano: zukini, sia sing. che plur.) e nel trituramento a dir poco compulsivo di interminabili mazzi di prezzemolo; e aggiungiamo che lo spettro delle verdure è di vastità imbarazzante – si celino interessi vignaiuoli di non misero conto. Non abbiamo ancora le prove che i produttori vinicoli siano eredi-parenti mica tanto alla lontana dei vari Morris, e che la loro attività sia il risultato di una riconversione industriale.


2 È una nota, questa: non ce la si meni con la storia dell’inciso. Dunque: come si possa continuare a dormire (e  a poltrire) per ore e ore e ore senza persiane, tapparelle, quantomeno veneziane o analoghi tegumenti al nudo vetro della finestra, è poco spiegabile. Come, inoltre, il fatto in Italia non sia ancora riuscito a imporre (oltre alla scarpa, l’occhiale, la mutanda, la braca, ecc.) in certe appetitose piazze estere il civile uso di taluni utili infissi, resta anche questo un mistero tale da farti venir voglia di scriverlo con la ipsilon – mystero, insomma. Desta altresì stupore come – sempre in consimili piazze – non vi sia verso di rendere diffuso il caffè non finto e soprattutto la moka, in luogo, rispettivamente, di sostanze liofilizzate e riscaldini di vetro. (Materiale pirofilo, d’accordo, ma non è questo il punto).


CORRELATI: L’uomo che diceva “chapeau!” a tutti

sabato 16 novembre 2013

L’uomo che diceva “chapeau!” a tutti

A destra, senza chapeau, l'uomo che diceva "chapeau!" a tutti
aggredito dai tutti (tutti con chapeau)
L’uomo che se non si sbagliava era solito dire “Se non mi sbaglio…” ad ogni piè sospinto, avendo come disturbatore di questa sua abitudine dialettica l’uomo che se non andava errato, il quale gli rimproverava quel suo incessante sospingere il piede, piuttosto che l’abuso del luogo comune colloquiale.
 

L’uomo che se non andava errato ripeteva senza soluzione di continuità “Se non vado errato”, criticato aspramente dall’uomo che aveva dedicato la vita a risolvere la continuità, un’attività che, se l’uomo che non andava errato non andava errato, era risultata fino a quel punto fallimentare.
L’uomo che se non si sbagliava, per difendersi dagli attacchi dell’uomo che se non andava errato, decise un giorno di prendere le parti dell’uomo senza soluzione di continuità, certo di trovare in lui un alleato. E così fu.


Temendo di vedersi messo in minoranza, l’uomo che se non andava errato ebbe un abboccamento segreto con l’uomo che se non si sbagliava, in occasione del quale gli spiegò che se lui non andava errato e se l’altro non si sbagliava, avrebbero potuto unire le rispettive forze per isolare l’uomo senza soluzione di continuità.
Dopo un lungo dibattito, i due conclusero rispettivamente “se non vado errato” e “se non mi sbaglio” l’uomo senza soluzione di continuità “mi rende la vita invivibile” e “a me no, anzi”. Il negoziato pertanto fallì.
 

Nel frattempo l’uomo senza soluzione di continuità trovò inopinatamente la soluzione della continuità, e perciò smise di tormentare l’uomo che se non andava errato.
Questa sua impresa fu salutata con un entusiastico “chapeau!” dall’uomo che diceva “chapeau!” a tutti, qualsiasi cosa facessero.
I tutti, tuttavia, cominciarono a sospettare che dietro quell’immancabile “chapeau!” dell’uomo che diceva loro “chapeau!” vi fosse qualche secondo fine. Dopo una serrata indagine, i tutti, infatti, scoprirono il secondo fine, ma purtroppo non il primo. Cosicché decisero che non gli avrebbero dato tregua finché non avessero scoperto quale fosse il primo fine.
A tale fine e a tale scopo, assunsero un detective, fine esperto di primi fini, benché non di secondi – che per altro non lo riguardavano e non riguardavano i tutti.
Dopo una lunga indagine, il detective annunciò di aver scoperto quale fosse il primo fine dell’uomo che diceva “chapeau!” a tutti.
 

Similmente all’ispettore Red Dick, egli convocò i tutti in una villa di campagna allo scopo di renderli edotti circa il primo fine dell’uomo che diceva “chapeau!”.
Iniziò dunque il detective: “Se non mi sbaglio e se non vado errato…” ma fu immediatamente interrotto dai tutti, certi di aver riconosciuto in lui sia l’uomo che se non si sbagliava sia l’uomo che se non andava errato sotto mentite spoglie.
Il detective cercò di difendersi dall’infamante accusa, ma su sopraffatto dai tutti con un boato unisono: “Se non ci sbagliamo e se non andiamo errati…” ma anche il boato rimase incompiuto, giacché, di tra i tutti, emerse un uomo che chiese vigorosamente la parola. Che gli fu concessa.
Quando poté finalmente parlare, egli, accompagnandosi con un ampio ed elegante gesto del braccio destro, esclamò “Chapeau!” a sottolineare un qualcosa di sfuggente.


Questo successe a Sarajevo il 28 giugno 2014. Il resto sarà storia e ce la racconteremo.

Miracolo a Milagro


A Milagro, cittadina della comunità autonoma di Navarra (España), proprio in Calle Nuestra Señora del Patrocinio, qui (davanti a quella porticina a sinistra – c’è chi dice sul primo, c’è chi dice sul secondo gradino) un giorno, appropriatamente, apparve la Madonna.
Era luminosa e radiosa e non parlava. Ma agiva. Agì subito, sin dalla prima apparizione, facendo un miracolo straordinario: trasformò Milagro in Miracolo, frazione di Avigliano, in provincia di Potenza (Italia). Dopo di che, la Madonna, trasferendosi nulla interposita mora a Miracolo, frazione di Avigliano, in provincia di Potenza (Italia), quivi apparendo – fra il muretto sulla destra e il cancello sulla sinistra – operò un birichino milagro: trasformò Miracolo in Milagro, cittadina della comunità autonoma di Navarra (España).
Per tre settimane, il miracolo di Milagro e il milagro di Miracolo si ripeterono incessantemente, disorientando con prevedibili conseguenze i residenti di Milagro e quelli di Miracolo, ma mettendo soprattutto in confusione e in allarme i teologi della Chiesa Romana e le ferrovie dello stato spagnuolo e italiano, che non sapevano – rispettivamente – come dare ragione di quelle apparenti apparizioni ubique e da che parte andare per trasportare i pellegrini che, a milioni, volevano assistere al miracolo di Milagro o al milagro di Miracolo.
Un concitato concistoro di teologi italiani e baschi non partorì soluzioni accettabili, se non una netta presa di posizione dei secondi che giudicarono la questione estranea alle sfere di competenza della Chiesa (e di Roma e di Navarra), adducendo che le azioni della Madonna non erano controllabili da enti umani il che – essendo fondamentalmente vero – spiazzò i colleghi italiani.
Si giunse tuttavia a una sorta di pilatesco compromesso, consistente nella dichiarazione dello “stato di paradosso”. Con ciò si voleva trasferire la questione sul piano squisitamente laico della filosofia in generale, nella speranza che qualche suo membro dipanasse la matassa. Nessuno di costoro, quasi ovviamente, raccolse tecnicamente la sfida, se si eccettua un filosofo passante di Mestre che, distrattamente, buttò lì che “la questione a questo punto è politica”.
Sì, d’accordo: ma come spiegarlo ai dirigenti della Renfe e delle FFSS (o come si chiamavano – nessuno lo capiva: ne sarebbe potuta nascere una questione filologica, ma si decise di rimandare questa possibile complicazione), ai pellegrini che bivaccavano a milioni nelle stazioni ferroviarie ispaniche e italiane? Come spiegarlo agli investitori cinesi e russi, ai venditori di statuette e icone della Madonna, ai produttori di acqua santa, ai costruttori di alberghi prefabbricati, ai fiscalisti del Vaticano, al sindacato visionari, alla torma di gestori di indotto, insomma, che si erano già attrezzati per Milagro e Miracolo?

La soluzione, inattesa e in fondo ovocolombica, venne un giorno da due appassionati di scrittura creativa e condivisa incappati per caso in questo blog with dirty little lips.
Così, dunque, si espressero: “ (esprimiti, dài)