G. Manganelli, Centuria |
Ma adesso: si fa café olé e crossante croiccant?
Come ti risollevi dallo sforzo, lui ti è dietro, con l’epa croia che rimostra dalla scamiciatura, con la protestante braca sbrecciata poco sopra il cavallo che tuttavia testimonia l’uso della mutanda, suffragato dall’alone paglierino facilmente intravisto. E chissà da quanto, a quell’ora, già verbalizzava incontenibile, incontentabile, esso, nella generale noncagance del nomade popolo di toeletta, accosto accosto quasi tu gli avessi dato l’appuntamento sull’onda dell’ebrezza del Primo Amor (che la mattina seguente al suo fiorire, pur recandoti al risveglio farfalle, colombe e campane, t’opprime alla nuca e ti rompe il cuor), e altro non stesse ad aspettare che la prima limonata, quella che di regola ti lascia la bocca altrui in bocca, quella, sarebbe a dire, che te ne vorresti ancora, d’un lato, ma da quell’altro tu ti sembri un cannibale, cioè credi d’avergliela mangiata la lingua al/alla partner (merita fare una riflessione: presente? che ci stavano, negli anni sessanta/settanta, quei pinguini o ghiaccioli o calippi comunque gelati allo stecco, di forma, dico, sexy, e l’anima analoga ad un midollume gelatinoso, prodotto pianificato e confezionato a bella posta, da istituire nell’iniziando – prime campagne reclamistiche erotocentriche – la scabrosa convinzione d’una sorta di autosufficienza garantita dalla forte quanto sottile suggestione del bacio alla franzosa; essendo già in discorso, si potrebbe, del pari, riferirsi agli occhiali a raggi X, pensati per violare ogni limite di privatezza e dunque vedere il nudo sotto il vestiario – delle donne, specialmente; e continuando non si completerebbe mai, forse, l’elenco dei mille schemi riservatici dai pragmatici surrogatori di altrimenti impossibili educazioni sentimentali).
Quasi tu gli avessi dato un appuntamento. Con la sua bocca di fuoco odor di stock, spalancata sul muso tuo rubrico per i conati, eccolo lì il signore sì che se ne intende, pronto per l’espugnata: “Che ne pensa lei? Non ho forse ragione io? Che farebbe lei al posto mio? Non mi stia a dire che lei, a la femmina, almeno una volta al mese, nei rapporti e tutto quanto, lei non… Non me lo stia a dire neanche per scherzo! Ma mi dica: lei, a casa, ce l’ha una donna, la sua donna che l’aspetta, intanto che la cenetta va a freddarsi, con il grembiale magari come dire allacciato con un bel fiocco sopra due fior di chiappette come dire belle pienotte, che l’aspetta sulla soglia o giù al portone come chi magari attende l’operaio che torna tutto nero dal cantiere, questa pocahonta tutta unta e i capelli come dire come spinaci, qualche briciola di pane appiccicata qua e là, e che mazzo – si capisce – si deve essere fatta tutto il giorno, ma finalmente in pausa, magari appoggiata al manico della scopa, come una Tina Modotti appoggiata magari al piccone del comandante Carlos – oppure, sfinita, distesa sul canapé, con un occhio al tv e un’orecchia alla lavatrice che come dire gorgoglia di là… Una donna così, lei ce l’ha? Questa donna che si spende in duplice sacrificio: una donna di queste, angelo del vostro focolare, tipo, frutto dal vostro sudore coniugale, ma che alla bisogna sa come dire diventare una di quelle magari… Scommetto che lei ce l’ha?”
Si limitò a mormorare: “No, non ce l’ho”.
E l’omino girmi, accettando cavallerescamente la perdita della scommessa, voltò i tacchi, puntando sulla tabaccheria, forse per andarsi a ricaricare le batterie delle provate eliche.
© 2014 - Mauro Pascolat - Yaşasın▲
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