1° disperato, necrotico stump
Primo stump dell’uomo che non è che non c’era (Illustrazione di Stefano Baratti) |
Benché avesse una scarsa capacità di giudizio, si riteneva abbastanza soddisfatto della sua vita. Se avesse avuto una buona capacità di giudizio, si sarebbe ritenuto soddisfatto.
Ma introduciamo per benino questa storia, diamole uno scheletro, una parvenza di trama, uno sputo di caratterizzazione, un qualcosina che come la leggi ti fa un effetto speciale. Ecco, si potrebbe cominciare così: per fare come certi scrittori matti che, tuttavia, vagano indisturbati e vaghi nel vano, vago mondo (anche loro facendo la loro brava, sporca e vana, vaga parte), sentite questa trovata: quest’uomo viveva a NEW YORK – così, detto vagamente, come se New York fosse il paesello dove De Sica fa il maresciallo, uno di quei paeselli sindaco, prete, farmacista (e maresciallo – anche se non sempre De Sica). Si sente già l’effetto? Avvertite sfarfallii nello stomaco? Sì? Buon segno. Ma spingiamoci oltre.
Non solo, dunque, cost’guy viveva a New York, ma aveva un nome, che per inventarcelo siamo diventati mezzi matti (anche se non del tutto: disgraziatamente siamo scrittori dilettanti – lo si capisce anche dal fatto che parliamo al plurale, il che deporrebbe a favore di una nostra certa svitatezza, ma in questa vita non sempre grata contano la fortuna e le mani-manico): si chiamava Leonard “Bob” Zagrebmann. Proveniva da una ricchissima famiglia di New York (che abitava in via Street Kennedy n° 3, la seconda sulla sinistra venendo da via Street Jhon Wayne, con “Jhon” scritto così non perché abbiamo sbagliato, ma perché ci siamo ispirati a uno scrittore che girava in pieno luglio con la sciarpa intorno al collo – che pareva sfuggito a un’impiccagione – con giacchetta da figicì dantan e che aveva inventato un personaggio di nome Jhon – ecco, così non ci accuserete di superficialità e approssimazione), che aveva fatto fortuna grazie a una vincita al totocalcio negli anni ’60 del XX secolo (cioè, nel Novecento, con la “n” maiuscola, quello che i realizzatori di note di quarta di libri di storia con la esse MAIUSCOLETTA non si stancheranno mai di sottolineare trattarsi del “secolo breve”). Non importa se a New York non esiste il totocalcio?
Vogliamo proprio vedere: un brutto giorno, infatti, arriva un funzionario del totocalcio di New York e fa: “Siete voi che avete vinto il totocalcio nel secolo breve?”
“Sì”, risponde accogliendolo sulla porta Robert “Leo” Zagrebmann – il padre di Leonard – con uno spregio del labbro come a dire meddatté.
“Bene”, replica il funzionario. “E in che anno, per l’esattezza e di grazia?”
“Ma… nell’anno di grazia e di esattezza 1972, credo…”
“Credete? Con esattezza? ’Scoltate qui, amico del sole: mi sa tanto che ho brutte notizie per voi” – non si capisce se dava del voi al capostipite appoggiato allo stipite o si riferiva alla ricchissima famiglia in generale. “Il secolo breve Novecento è finito nel 1971 (sennò era un secolo normale, di 100 anni, senza rotti in difetto o in eccesso), quindi non avete vinto un bel niente”.
Il vecchio, non essendo un piantagrane malgrado quello spregio del labbro (in realtà era uno spregio fisso, scolpito lì dalla nascita – o forse dalla Tyche), capì la situazione, ringraziò l’ospite, lo congedò e si trasferì nel suo studio (tutto foderato di libri in cuoio, con quel buon odore di cuoio e di carta, che è questo il bello dei libri veri a rimpetto degli ebooks: che senti odore, mentre con gli ebooks, oltre a cecarti, non senti odori; e si sa che quando uno legge – specie ai servizi – vuole sentire odori. Se poi soffri di stipsi, lo svantaggio degli ebooks viene duplicato. Se, invece, soffri del disturbo opposto, che pesci pigli quando ti accorgi della negligenza della serva trovandoti fra le mani un ebook? Manco uno. Come vedi, il book ha vantaggi notevoli rispetto all’ebook. Vai sempre al licet con un book è il nostro consiglio. Lascia perdere il giornale: che, mo’ li fanno in carta di riso? Il book sì, anche se costa), dove, sedutosi allo scrittoio, estrasse dal tiroir un pistolone e ti saluto, amico del sole!
Lo trovarono con un buchino da niente in fronte (senza cornice di splatterume), manco si fosse tirato una miccetta, e una lettera di fronte a sé. Dentro, un foglio d’un simbolico che Verlaine ne sarebbe crepato d’invidia: bianco.
Con la famiglia rovinata, Leonard “Bob” – che si era visto predestinare tutto un brillar e sfavillar di carriera da avvocato presso la firma di grido Schinbierna&Schinbierna di New York – vide sconvolta (favorevolmente, ché per fare l’avvocato aveva una mezza idea – aveva sempre mezze idee, come forse (ci, ma anche vi) spiegheremo più avanti – di non averci il taglio) la sua vita. Prima, infatti, non aveva idea di che cosa avrebbe fatto di sé, ora ce ne aveva una mezza. Pensò: “Adesso faccio una ricerca su Ghiugl… anzi, mi voglio rovinare: Ghiugl plas (adbondantis adbondantum… anzi, mi voglio strarovinare: adbondantis adbondantum adbontantibus)”.
A quei tempi, però, Ghiugl plas non esisteva, ma esisteva Eevil plas (inventato dal mio amico Marsiano), il motore di ricerca e di ri-cerchia sociale che c’aveva un tigre dentro.
Pertanto, andò al suo computer (che al tempo non esisteva, o meglio, esisteva a metà: metà tastiera e metà monitor), digitò come Frenzy Frantic con 12 dita per circa 3 minuti, fino a ottenere una prolissa query “Dve ss trvare…” ma non possiamo dirvi di più, sempre per la questione della tastiera e dello schermo dimezzati (deduciamo che “ss” stia per “posso” – “p” e “o” situantisi nella metà mancante – all’epoca – della tastiera, la destra).
Fortuna che Eevil plas non scherzava. Grazie a un algoritmo misterioso (sebbene in fase beta) aveva capito che Leonard cercava un lavoro. E grazie a un secondo (in fase gamma) glielo aveva pure trovato.
Due ore dopo, Leonard “Bob” stava nella Settima (fra la Prima e la Terza [?]) in procinto di entrare nella bottega (in cuor suo sperando e non sperando di entrare a bottega) di un barbiere di New York, tale Tomhas Dilyan Taneddu, detto stranamente “Cochise” pur essendo della tribù dei Nez Percez? Percez Noz.
Taneddu Cochise, benché totalmente cieco, era il barbiere più in vista di New York, verosimilmente il migliore: basti pensare che tutti i mobster della città, quando erano stanchi di vivere, andavano chez lui. Sapevano che, immancabilmente, i membri dei mobs avversari li avrebbero trovati belli imbacuccati sulla poltrona girevole che Cochise avrebbe prontamente volto in favore dei malintenzionati affinché i malintenzionati venissero smitragliati a dovere. Non prima che Cochise avesse fatto loro barba e capelli (+ facial al vapore al calore galore).
Aperta la porta della bottega, Leonard fu investito dal sicario di turno in fuga, il quale, masticando fra le fauci un “faucof”, si scusò con l’ingrediente (nel senso di entrante), lo aiutò ad alzarsi, gli chiese se stesse bene, gli offrì una caramella, che Leonard non accettò dallo sconosciuto, al che il gangsta si offrì di offrirgli un drink al noto locale Blue Gardenia dietro l’angolo (il Blue Gardenia, a New York, è dietro ogni angolo), ma Leonard disse “non bevo mai prima delle 11 am”, e il mitragliere volendo controllare che ora fosse (che a lui non la si raccontava! – l’ora) prese a cercarsi addosso la cipolla, ma non la trovava, al che esclamò “fakiu” – poi scusandosi per il linguaggio – ma intanto “il sole mangiava i minuti” (secondo il celebre modo di dire in uso a New York, ma non è vero: lo dicono a Trieste, ma metti che uno scrittore con la sciarpa che scrive sta roba con 14 dita sia di Trieste e ignori certe sottigliezze filologiche – come finora ha ampiamente dimostrato – cosa volete che gliene freghi…) e mangia un minuto e mangiane un altro, va a finire che passano di lì 3 tipi nel NYPD, osservano la scena, si insospettiscono, si avvicinano, chiedono: “Tutto bene?” e Leonard muto e quell’altro pure, con il Thompson fumante in mano, e loro, ripetendo “Tutto bene?” senza ottenere risposta, si insospettiscono ancor di più, ma non avendo prove di avere motivi di insospettirsi sospettano di star prendendo un granchio a causa dei troppi tv-movie di NYPD visti, ecco che i 3 della pattuglia, dopo un’occhiata pedagogica agli insospettabili, fanno per allontanarsi, ma vengono – per precauzione – falcidiati dal mitra del mobster, che finalmente trova la cipolla, la consulta e osservando che sono le 10.57 non insiste. Stringe la mano a Leonard “Bob” e se ne va (i suoi passi saranno pochi, falciato immaturamente dai colpi di un contromobsta all’angolo del celebre locale Stork – che a New York si trova sempre di fronte al Blue Gardenia, da cui gli scazzi fra i due locali, spesso concludentisi in stragi di tutti i santi del calendario).
Lievemente stordito, finalmente Leonard fece il suo ingresso nella bottega. Non ebbe il tempo di dire “buongiorno” (tanto, dato che parlava a mezza voce, nessuno lo avrebbe sentito), che Cochise gli intimò: “Passa lo straccio su sta medda” (riferendosi al lago di sangue che tanto stonava col candore del locale, benché, data l’abbondanza di piastrelle, ricordasse una macelleria vecchio stile), non prima di averlo apostrofato: “Non si usa più dire buongiorno?”
Dice un lettore di quelli svegli tipo un libro da non perdere: “Ma Taneddu Cochise, non era cieco? Come ha potuto scorgere il nuovo arrivato, per altro così silenzioso?”
Gli rispondiamo: “Statti zitto e leggi, tanto sei abituato a schifezze peggiori…”
E lasciateci lavorare, altrimenti cade l’Italia e si muore.
Dunque.
Cochise usava frasi concise.
Brevi.
Andava sempre a capo.
Per guadagnare Tempo.
Mentre gli scrittori.
Con.
Le.
Sciarpe.
Lo fanno.
Per.
Guadagnare.
Righe.
Così il libro.
Viene più.
Grosso.
E possono.
Far pagare.
Una cacatina.
Di.
120.
Pagine.
(Che).
In.
Realtà.
Sarebbero.
7.
Dicevamo.
Lo fanno.
Pagare.
(A te).
(Che lo).
(Compri).
30.
Euri.
Poi.
Quando.
Hanno fatto.
La.
Grana.
E hanno.
Vinto.
I.
Premi.
Della.
Grappa.
E.
Di.
Altri.
Liquo-
ri,
diventano più buoni e generosi e riescono a scrivere numerose righe senza andare a capo, righe, per altro, piene di quella roba che il Bardo diceva essere fatta della stessa materia di cui è fatto il nulla.
Fine della prima parte. (Come Dickens).
Una volta, Dickens, dopo aver scritto e pubblicato sul the “Monarchy” (con il the minuscolo e fuori virgolette, che era una figata ideata da lui stesso) la prima puntata de Il piccolo Chirquick, essendo in crisi di astinenza da figate, si fermò ad un’edicola in Earl’s Court, intenzionato a farne una coi fiocchi (e controfiocchi, se si considera che si portò dietro il laptop). Diversamente dall’opinione diffusa, Dickens era una vera carogna (altroché paladino dei diseredati, dei poveri, dei reietti…), perciò si rivolse all’edicolante (un vecchietto sull’ottantina con trombone all’orecchio) chiedendogli spietatamente: “Buon uomo… Vorrei il numero del the ‘Monarchy’ – e staccò nettamente il ‘the’ da ‘Monarchy’ con tono strafottente – con la seconda puntata del racconto di quel… come si chiama… Dixen… Diskens… non mi sovviene…” L’ottuagenario non fece una piega – se non quella per raccogliere la copia del prestigioso quotidiano contenente la seconda puntata del Chirquick e gliela porse, in attesa del soldo.
Il Dickens, verde e rosso in volto, bofonchiò: “Mpf… fppmpff… Io… Io… Io vi farò licenziare, sarebbe l’ultima cosa che facessi!…”
Il vecchietto, correttigli congiuntivo e condizionale, mormorò qualcosa fra le gengive, un indistinto ma secco suono, tutto un “f” “f”, e rimise al suo posto la gloriosa carta.
attenzione: l'algoritmo di Eevil plas è passato dalla fase beta, alla fase etabeta (nel caso a qualcuno interessi, sennò vedetevela voi; io ve lo dissi).
RispondiEliminami sono fatto qualche risata.
RispondiEliminasimpatico questo mitragliere d'antan, non come quelli di oggi che sono degli screanzati. fanno i fighi con l'aifòn, al posto dell'oniòn, e quindi lo sanno benissimo che c'è un Blue Gardenia dietro l'angolo, anche se non sono di New York, ma il drink non te lo offrono mica. dove andremo a finire, dico io?
anch'io me lo chiedo, soprattuto perché, dovendo passare al secondo stump, non vorrei fare una figura alla Dickens.
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