lunedì 19 maggio 2014

Cacciar(s)i nei guai

Tintoretto, Socrate, la cicuta e il ginseng

Anche (il) Tintoretto soleva tingersi barba
e capelli, ma solo negli autoritratti.

Socrate non è che non sapesse scrivere: sapeva di non saper scrivere.
Quanto al leggere, Plato non dice nulla in proposito.
Opus est consultare e imbarazzare per l’eternità il professor Tintoretto (detto Massimo – ma anche Massimo deto Tintoreto) Cacciari: “Prof, scusi: Socrate sapeva di non saper leggere?”
“Be’... eh.. insoma... mi no gò... vogio dir... no ghe xe testimonianse direte... cioè... al limite... Ehi, ma cossa ti fìi caìgo? Perché no ti va a farte una ombreta?” 


E invece Cacciari, finita la lezione, torna mestamente a casa. Fra le calli, i calli che gli dolgono nelle scarpe da filosofo (scarpe strette, cervello fino), medita: “Mama mia, che figurassa.... Xe un de quei giorni... Me par da esser insemenìo”.
Ad ogni calle, ad ogni campiello, l’Amleto che è in lui prende maggiore consistenza, il corpo – quasi come il fantastico Urka! – comincia a trasformarsi; la barba si inverdognola, i capelli tintoretti pure. Sembra un marsiano (ma non il commentatore e commendatore unico di questo frog-blog with dirty little lips).
 

Varcata la soglia domestica, grida: “Bruneta! Gavemo ancora sicuta in casa?”
Dalla cucina la moglie (Santippe, ma a volte detta Bruneta – o deta Brunetta) risponde: “No, Massimo: eà gavemo finìa. Ti vol che vado in farmasia a torghene un poca?”
“Sì, ma mòvete, dèi! Xe urgente”.
Santippe-Bruneta va e torna.
“Benedeta chea femena!”esclama Tintoretto sollevato allorché la mugièr gli porge l’infuso.
Egli beve tutto d’un fiato, in una fiata. Poi, per ottenere il desiderato effetto, acchiappa (scomensia) a passeggiare avanti e indietro nella sua celletta meditativa foderata di opere di safi di tutti i tempi stati, enti e futuri. Egli conosce teoreticamente l’azione della cicuta: lenta ma inesorabile, progressiva insensibilità del corpo, a partire dagli arti inferiori. Quando la cicuta arriva al cuore, this is the end, my only friend...
Passa un’ora. Niente.
Passano due ore, niente. “Magari sarò già morto”, pensa in italiano corretto Massimo. “Ma no! Che stupido che sono o mi sembra di essere. Se sarei morto, non potessi pensare”. L’agitazione dovuta all’anomalia della situazione gli fa sbagliare la consecutio.  “E poi,” soggiunge non petito, “l’anima, a differenza di quanto sostiene Pereira Galimberti, esiste: è una roba vuota con un buco in mezzo”1
.

Una voce dalla cucina: “Massimooo! Va’ eaavarte aè man che xe prontooo!”
“Ma Santippe!? Cossa ti disi? Mi son più de eà che de qua e ti ti pensi a magnar?”
“Ma se ti xe de eà! Vien de qua, dèi! No sta far el mona, che se sfreda tuto”.
“Ma Bruneta: cossa casso ti gà messo nell’infuso?”
“El ginseng, no?”
“El ginseng?!”
“Ginseng, sì”.
“E eà sicuta?”protesta inorridito Tintoretto.
“I eà gaveva finìa. Aeora ti go tolto el ginseng!”
“Ma cossa ghe entra eà sicuta co’ el ginseng!” ribatte stizzito Massimo.
“Chei cani de to morti, Tinto! Quante vòete ti ’o gò dito da moeàr ’ste tue imedesimassioni! L’altra setimana ti voevi basar una gòndoea, el mese passà ti pretendevi che eà zente eà carigasse i relogi a seconda de quando che ti ’ndavi fora de casa2... Sù! Date co’ un legno!”
"Ti ga rason, Santippe. In fondo mi son Massimo Cacciari”, si rinfranca Massimo Cacciari.
“E un’altra roba, Massimo: doman va’ tagiarte i cavèi”.
“Posso tignir eà barba, almanco?...”




1 Da non confondersi con il concetto di Dio, che sostiene sempre Pereira –  sarebbe (il condizionale non è dobbligo, ma meglio cautelarsi) una cosa tutta vuota intorno e con in mezzo niente.

2 Che le genti di Könisberg avessero l'abitudine di regolare gli orologi sul passaggio del professor Kant, è pura leggenda (probabilmente ninja), dacché in verità egli soleva baciare i cavalli alla franzosa, invadendo le proprietà private dei concittadini. Il professor Nietzsche avrebbe voluto distinguersi per qualche prodezza analoga. Sicché, in occasione di un soggiorno a Venedig, montò alla torre campanaria della Basilica di San Marco e ne baciò l'orologio – che non la prese bene.

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