Quello che non è quello che è il lago Como, bensì quella che è la cruna dell’ago di Garda. (Illustrazione di Stefano Baratti). |
Veda... Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare – e non mi interrompa, che io non l’ho interrotta, per Dio!... –, quel borgo, francamente già considerabile, era anche un castello – questo me lo concederà –, e aveva perciò l’onore d’alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli – e a parlare non un è pericoloso sovversivo –, che insegnavan – diciamo così – la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell’estate propriamente detta, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l’uve, e alleggerire a’ contadini – e qui la questione è politica – le fatiche della vendemmia (sebbene che non glielo aveva mica ordinato il dottore). Dall’una all’altra di quelle terre, dall’alture alla riva, da un poggio all’altro, correvano, e corrono tuttavia – ci mancherebbe! –, strade e stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo e – abbiate pazienza – qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: e da qui la vista spazia per prospetti più o meno estesi (correggetemi se mi sbaglio), ma ricchi – vivaddio! – sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda – e almeno su una cosa siamo d’accordo. Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specchio dell’acqua; di qua – se è vero, com’è vero – lago, chiuso all’estremità piuttosto che piuttosto smarrito in un gruppo – questo ve lo concedo –, in un andirivieni di montagne, e di mano in mano più allargato tra altri monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che – sia detto senza offesa – l’acqua riflette capovolti, co’ paesetti posti sulle rive; di là braccio di fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va ad andare a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra’ monti che – per inciso – l’accompagnano, degradando via via, e perdendosi quasi anch’essi nell’orizzonte. Resta il fatto che, il luogo stesso da dove contemplate que’ vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte, su questo non ci piove: il monte di cui passeggiate le falde – e qui concludo –, vi svolge, al di sopra, d’intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v’era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e – mi cito testualmente – “l’ameno, il domestico di quelle che sono quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico dell’altre vedute” e via discorrendo.
Ma voltiamo decisamente pagina.
Manzoni Alessandro, Milano, uomo, 44 yo, single, sì perditempo, no fumatori, sì viaggiare (evitando le buche con acqua). Lavarsi piedi.
Mi piace: leggere, scrivere, far di conto.
Non mi piace: il Manzoni, l’ipocrisia, la falsità, la menta piperita.
Che altro dire di me... Sono una persona solare.
Non mi piace: il Manzoni, l’ipocrisia, la falsità, la menta piperita.
Che altro dire di me... Sono una persona solare.
"...e su questo non ci piove" sarebbe stato il finale ideale per "la pioggia nel pineto".
RispondiEliminama D'Annunzio non era Petrolini.